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Perché le 6 maggiori banche Usa esultano per l’annuncio di Trump sul Dodd-Frank Act

Di Telis Demos e Peter Rudegeair
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Le sei maggiori banche Usa potrebbero distribuire agli azionisti oltre 100 miliardi di dollari nel corso del tempo attraverso dividendi e acquisto di azioni proprie se l’amministrazione Trump riuscisse ad allentare la regolamentazione bancaria.

Venerdì scorso il presidente Donald Trump ha firmato un memorandum chiedendo una revisione del Dodd-Frank Act, la normativa seguita alla crisi finanziaria che ha guidato le azioni della Fed. L’obiettivo è abrogare un “gran numero di quelle regole”, ha spiegato Trump in un incontro alla Casa Bianca. Questo ha portato i titoli bancari a guadagnare terreno venerdì (in media il 3%), in aggiunta ai forti rialzi messi a segno dalle elezioni presidenziali (+24% per il settore). Le aspettative di tassi di interesse più alti, una minore regolamentazione e una crescita economica più solida hanno alimentato l’idea che le banche saranno in grado di incrementare i rendimenti per gli azionisti.

I sei istituti Usa più importanti hanno 101,57 miliardi di dollari di capitale in eccesso rispetto a quanto i regolatori richiedono di accantonare, secondo una ricerca di Rbc Capital Markets. Gli analisti di Morgan Stanley stimano circa 120 miliardi di dollari considerando le 18 maggiori banche. “La regolamentazione bancaria non sembrava essere la priorità numero uno per l’amministrazione, quindi vedere questi ordini arrivare così presto è positivo”, ha osservato Jason Benowitz, senior portfolio manager di Roosevelt Investment Group, che gestisce 3 miliardi di dollari.

I requisiti patrimoniali, va ricordato, non sono esplicitamente definiti dal Dodd-Frank Act, ma sono stabiliti dalla Fed e altri regolatori, oltre a essere oggetto di accordi bancari a livello internazionale. Se quindi l’amministrazione Trump non può direttamente modificare questi requisiti, può influenzarli indirettamente, come anche nel caso degli stress test della Fed, attraverso le nomine degli organismi di regolamentazione.

Se gli azionisti guardano con favore a rendimenti più sostanziosi, questa mossa creerebbe però anche de rischi. Prima della crisi finanziaria, ad esempio, era comune per le grandi banche sborsare di più per dividendi o riacquisti di azioni proprie. Questo ha messo istituti importanti, inclusa Citigroup, in una posizione non ottimale allo scoppio della crisi finanziaria, rendendo necessario il salvataggio pubblico. I banchieri, dal canto loro, sostengono che gli accantonamenti sono eccessivi per assorbire le possibili perdite.

Ma i regolatori li considerano necessari per assicurare che le banche sistemiche siano in grado di affrontare gli shock globali. Poi ci sono i sostenitori di requisiti patrimoniali più stringenti, i quali ritengono che le banche hanno bisogno di buffer ancora più elevati per dissipare del tutto l’idea che siano troppo grandi per fallire. Ma alcuni investitori ribattono che queste riserve rappresentano capitale bloccato visto che la capacità delle banche di remunerare gli azionisti è limitata dalla Fed attraverso gli stress test annuali che impongono un aumento degli accantonamenti.

Secondo RBC, Citigroup è l’istituto che ha più capitale in eccesso con 27 miliardi di dollari mentre JP Morgan si ferma a 20 miliardi e Wells Fargo a 16 miliardi. “Un ammorbidimento normativo potrebbe essere positivo per l’industria in termini di efficienza di capitale e gestione dei costi”, ha messo in luce Conor Muldoon, fundamental portfolio manager di Causeway Capital Management, che gestisce 44 miliardi di dollari a livello globale. “La possibilità di remunerare il capitale è chiave nella decisione di investimento”, secondo Muldoon.

Essere in grado di sbloccare più capitale sarebbe una manna per le banche e gli investitori in diversi modi. In primo luogo, le banche potrebbero remunerare gran parte del capitale attraverso un aumento dei dividendi o un ampio buy back che, diminuendo il numero delle azioni in circolazione, contribuisce a incrementare gli utili per azione. Gli analisti di Goldman Sachs hanno stimato che per le grandi banche Usa l’utile per azione medio potrebbe aumentare del 13% qualora il capitale in eccesso fosse restituito agli azionisti attraverso buyback. Inoltre, riducendo l’ammontare delle riserve, si dà slancio al return on equity degli istituti che negli ultimi anni hanno avuto difficoltà a mettere a segno rendimenti che eccedessero il loro costo del capitale teorico o il costo di raccolta fondi, di circa il 10%. Questo limite è legato ai bassi tassi di interesse, alla lenta crescita dei ricavi, alla modesta attività di trading e ai maggiori requisiti di capitale. Se il rendimento sul capitale incrementa, questo a sua volta porta in rialzo le quotazioni delle azioni.

Trump dovrebbe presto eleggere il nuovo capo della vigilanza bancaria della Fed, una carica prevista dalla Dodd-Frank ma non assegnata dall’amministrazione Obama. Nel frattempo i repubblicani al congresso hanno chiesto alla Fed di sospendere la sua partecipazione nelle discussioni a livello globale in tema bancario. Prima delle elezioni, la Fed aveva anticipato che avrebbe lasciato le banche poù libera nella politica di remunerazione degli azionisti e gli istituti, tra cui Citigroup, hanno incrementato gli obiettivi di dividendo per il 2017. L’analista di Clsa, Mike Mayo, a gennaio ha stimato che il payout di una banca rispetto agli utili, sotto forma di dividendi e buyback, potrebbe entro il 2019 salire all’85% dal 65% del 2015 con monte cedole in aumento da 70 miliardi a 110 miliardi di dollari.

Ma i rendimenti, che sono una manna per gli azionisti, potrebbero rendere gli investitori in titoli di debito più nervosi, portando a un aumento dei costi di finanziamento per le banche. Fitch Ratings venerdì scorso ha messo in guardia rispetto alla possibilità che il business delle banche possa divenire più rischioso sulla scia di minori accantonamenti di capitale. «Ogni cambiamento delle regole su requisiti di capitale e liquidità potrebbe avere implicazioni negative a livello di rating qualora la banca risponda a queste regole con un posizioni di liquidità e di capitale più deboli», ha concluso Joo-Yung Lee, alla guida di North American financial institutions di Fitch.

(Qui il foto-racconto di Modocane Formiche sui primi dieci giorni di Donald Trump da presidente degli Stati Uniti)

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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