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Tutte le ultime puntate della saga Volkswagen

Continua la “saga” Volkswagen che ha preso il via poco più di un anno fa in America, in seguito allo scandalo delle emissioni truccata nei modelli diesel. Il bollettino di nuovi sviluppi è, se non quotidiano, settimanale. Tra gli ultimi colpi di scena ci sono le dichiarazioni rilasciate dall’ex presidente del consiglio di sorveglianza Ferdinand Piëch il quale sostiene di aver informato delle manipolazioni anzitempo l’allora ceo Martin Winterkorn. Se così fosse, anche Piëch sarebbe però passibile di indagini.

Si attendono sviluppi, mentre le due puntate più recenti potrebbero andare sotto il titolo: Volkswagen – buone nuove, cattive nuove (entrambe dalla prospettiva Volkswagen). Le buone nuove sono che la politica tedesca ritiene i propri cittadini se non clienti di serie b, comunque, diversi da quelli americani (che verranno lautamente risarciti da Volkswagen), non autorizzati a intentare una class action, un’azione collettiva. La cattiva nuova è, invece, che la “Deutsche See-Fischmanufaktur” – la più grande industria ittica della Germania – ha fatto causa alla casa di Wolfsburg, chiedendo un risarcimento danni per complessivi 12 milioni di euro.

Meglio partire da questa: nel 2010 la Deutsche See-Fischmanufaktur aveva cambiato il proprio contratto leasing, optando per modelli Volkswagen diesel con tecnologia bluemotion e dunque meno inquinante. Ma come si è poi appreso, le cose non stavano proprio così. Anzi, secondo i vertici della Deutsche See-Fischmanufaktur si è trattato di un vero e proprio raggiro ed è per questo che pretendono ora la cancellazione retroattiva del contratto di leasing e il rimborso di quanto già speso per i 500 furgoni che compongono la flotta aziendale.
La notizia della Deutsche See ha fatto, curiosamente, molto più scalpore dell’altra, quella riguardante i clienti Volkswagen in Germania. Perché a essere stati ingannati non sono stati ovviamente solo gli acquirenti americani: anche 8 milioni di europei hanno comperato modelli Volkswagen diesel, nella convinzione che fossero particolarmente ecocompatibili e di questi 2 milioni risiedono in Germania. Peccato però che, come spiegava il Süddeutsche Zeitung qualche giorno fa, il diritto tedesco non contempli la class action e i politici, in primo luogo quelli dell’Unione (cioè cristiano-democratici e cristiano-sociali) sono contrari a introdurla.

Azioni legali collettive possono essere avviate in Germania solo sotto il patrocinio di associazioni dei consumatori oppure delle camere di commercio. A questa situazione di particolare “svantaggio” del cittadino tedesco (se comparato a quello americano nel caso di Volkswagen) il ministro della Giustizia, il socialdemocratico Heiko Maas, voleva porre rimedio, introducendo la class action. E ancora in autunno si era mostrato fiducioso di riuscire a portare a casa il via libera degli altri ministeri entro la fine anno.
Ma le cose sono andate diversamente. A opporsi sono stati innanzitutto il ministero delle Finanze e quello dell’Agricoltura, il primo guidato dal cristiano-democratico Wolfgang Schäuble, l’altro dal cristiano-sociale Christian Schmidt.

Il Süddeutsche Zeitung scrive di un documento interno del ministero dell’Agricoltura redatto all’inizio dell’anno, nel quale si motiva il no, con la mancanza di una valutazione sull’utilità reale per il consumatore di una class action e con l’assenza di una valutazione sull’onere economico che ricadrebbe sull’impresa. Sempre di inizio anno è anche la comunicazione da parte di un funzionario del ministero delle Finanze, che faceva notare al ministero della Giustizia che un’azione collettiva potrebbe voler dire un “elevato grado di incertezza” per “assicurazioni e banche”. Motivo per cui si suggeriva di alzare il numero minimo di aderenti: “Da dieci a minimo cento”.
Ancora prima, nel dicembre 2015, il cristiano-sociale Alexander Dobrindt, ministro delle Infrastrutture, si era detto contrario a questo nuovo strumento di rivalsa per i consumatori. E tre mesi fa, Cdu e Csu insieme avevano espresso la stessa posizione.

La battaglia non è ancora persa, ma i tempi stringono, se Maas vuole riuscire a introdurre la norma ancora entro la corrente legislatura. Ma se ciò gli riuscisse, per la maggior parte dei clienti Volkswagen la sua entrata in vigore (non prima del 2019) arriverebbe a reato già prescritto.
E allora perché tanta fretta da parte di un ministro socialdemocratico e tanta risolutezza da parte di due ministri dell’Unione? Una riposta potrebbe essere questa: la campagna elettorale è già iniziata e anche il caso Volkswagen è diventato uno strumento (più sottotraccia certo di alcuni cavalli di battaglia, vedi migranti o giustizia sociale) con il quale “fidelizzare” il proprio elettorato. Anche, appunto, quello della Bassa Sassonia, il Land nel quale si trova Wolfsburg, il quartier generale della Volkswagen, attualmente governato da una coalizione Spd Verdi.


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