Le imprese della sharing economy (Uber, Airbnb i nomi più noti) vanno tassate? La Russia ha trovato il modo con la web tax in vigore dal primo gennaio 2017 che impone un prelievo dell’Iva del 18% per le aziende IT straniere che forniscono servizi tramite Internet ai consumatori residenti in Russia. Intanto la Corte di Giustizia Europea è impegnata in un procedimento, che dovrebbe chiudersi non prima di aprile, per decidere come classificare Uber (azienda digitale o azienda dei trasporti?) e quindi valutare quali sono le regole cui andrà soggetta. In Italia le bacchettate dell’Europa, che minaccia la procedura di infrazione e chiede una manovra correttiva sul bilancio, costringono a valutare con urgenza la possibilità di tassare le aziende che finora sono sfuggite al fisco. Ma come? Questo avviene mentre in Italia oggi ci sono state mobilitazioni e scioperi dei tassisti contro le norme anti Uber espunte dal provvedimento Milleproroghe.
WEB TAX IN SALSA RUSSA
La web tax russa, approvata nell’estate 2016 e in vigore da quest’anno, si applica alle imprese estere che vendono su Internet in Russia. C’è una specifica lista di contenuti e servizi cui la web tax si applica: vendita di e-book e musica online, vendita di programmi e giochi per computer, di pubblicità online, servizi di registrazione dei nomi di dominio e hosting. Vi sono soggette, per esempio Apple, Google e Microsoft, per via dei guadagni generati con gli store di applicazioni in Russia, ma anche service provider come Uber e l’analogo servizio Gett.
Tuttavia, le aziende straniere non sono obbligate a registrare una sede legale in Russia, perché possono pagare la tassa tramite partner locali. Qui è nata la diatriba con Uber che ha detto che pagherà la web tax in Russia tramite i suoi conducenti, che saranno poi rimborsati, in base al contratto che gli autisti firmano con Uber N.V. (ente registrato nei Paesi Bassi). L’Iva del 18% si applica solo sulla commissione che gli autisti pagano a Uber in cambio del “servizio elettronico” fornito dalla società, e non sulla tariffa della corsa pagata dal cliente. Uber quindi è per la Russia un’azienda digitale, che fornisce servizi elettronici, e come tale paga la web tax. Ciò richiede che i conducenti russi siano tutti registrati e in regola col fisco, e alcuni avrebbero già dato forfait, secondo Stanislav Shvagerus, capo del gruppo di lobby Taxi 2018. Lo stesso Shvagerus, esperto russo della IRU, organizzazione internazionale che rappresenta gli interessi del mondo dei trasporti, pensa che l’approccio del fisco russo sia errato: Uber non è un fornitore di servizi digitali. Sì, pemette a chi usa la sua piattaforma di prenotare un veicolo tramite sistemi di comunicazione, ma il passeggero paga un servizio di trasporto non It. “Le legge russa deve essere applicata a tutti i fornitori di servizi taxi che operano in Russia. Gett, Yandex Taxi e Uber offrono servizi identici, non importa che siano aziende russe o estere e devono pagare le tasse allo stesso modo”, sostiene Shvagerus.
Il riferimento a Yandex Taxi non è casuale. La web tax russa sembra favorire il campione nazionale del ride-hailing, di proprietà del motore di ricerca russo Yandex. Yandex Taxi è nata nel 2011, due anni prima dell’arrivo di Uber in Russia, e controlla circa il 55% di tutte le corse taxi a Mosca, secondo dati di Bank of America Merrill Lynch, mentre Uber e l’israeliana Gett controllano metà dell’altro 45% (il resto appartiene al mercato dei taxi tradizionali e agli operatori illegali). L’avanzata di Uber è feroce, a suon di prezzi stracciati e annunci di roll out in decine di città russe oltre la capitale; Yandex Taxi ha risposto con prezzi ancora più scontati, competitivi con l’autobus. La strada per Uber resta però in salita perché Yandex Taxi ha un enorme successo e sfrutta un modello diverso, fondato non su collaboratori esterni che mettono a disposizione la loro auto, ma su società di taxi indipendenti facilmente trovabili dal suo motore di ricerca in russo, che accorpa l’intero servizio sotto un brand fortissimo.
CHE COS’E’ UBER?
Decidere che cosa è Uber giuridicamente è cruciale per capire come regolarla e tassarla. Nei prossimi mesi la Corte di Giustizia Europea dovrà emettere la sua sentenza: a fine 2016, infatti, si è aperto il procedimento, sollecitato da un tribunale spagnolo cui si era rivolta l’associazione di tassisti Asociación Profesional Élite Taxi, per discutere se Uber va classificata come servizio digitale o azienda dei trasporti. Uber ovviamente sostiene di essere un servizio digitale – del resto, non possiede un solo veicolo. Ma, di fatto, il suo servizio si esplica nella fornitura di passaggi in macchina. La Corte di Giustizia Ue potrebbe decidere che Uber è un servizio digitale, una piattaforma online che fa incontrare autisti e passeggeri: questo le darebbe più libertà di manovra e non la metterebbe in concorrenza con i taxi. Se però Uber fosse riconosciuta come azienda dei trasporti sarebbe soggetta a regole più severe o, addirittura, il suo servizio potrebbe essere vietato in quanto rappresenta un concorrente sleale verso operatori che pagano una licenza, assumono dipendenti e fanno versamenti al fisco in modo diverso. La decisione europea avrà implicazioni non solo per Uber, ma per tutte le aziende della sharing economy come Airbnb (alternativa all’hotel), Deliveroo (consegna cibi a domicilio), Hassle (pulizie domestiche).
PUZZLE DI REGOLE
Nei confronti delle start-up della sharing economy, i regolatori al momento si muovono con difficoltà e in modo autonomo. A fine 2016, i regolatori dello Stato di New York hanno deciso che gli ex autisti di Uber hanno diritto al sussidio di disoccupazione, perché sono a tutti gli effetti dei dipendenti non dei freelance. Un tribunale britannico ha allo stesso modo deciso che gli autisti di Uber hanno diritto al salario minimo e alle ferie pagate. Tornando negli Usa, il New Jersey ha appena approvato una vera e propria legge sul ride-sharing che regola il settore obbligando tra l’altro gli autisti delle aziende come Uber ad avere delle assicurazioni specifiche per chi fornisce servizi di trasporto e a passare attraverso un preventivo controllo su patente, fedina penale e veicolo. Lo Stato del Missouri sta discutendo la possibilità di esigere da Uber il pagamento della licenza e la verifica degli autisti, in quanto “servizio per il trasporto”. Fare chiarezza nel settore è fondamentale, perché nello Stato del Missouri a offrire il ride-hailing sono non solo Uber e Lyft ma anche Sidecar, Flywheel, Curb, Hailo, Summon and Shuddle. Al tempo stesso lo Stato ha promesso l’esenzione dalle tasse locali, e questo potrebbe creare molti nuovi posti di lavoro.
L’ITALIA CI PENSA
In Italia l’ipotesi di una web tax sui colossi come Google e Apple, e più di recente sulle start-up della sharing economy come Uber e Airbnb, è stata messa più volte sul tavolo. Ma l’idea che prevale oggi è che una tassa del genere andrebbe decisa e implementata su scala Ue, non nazionale. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha di recente annunciato che la web tax sarà nell’agenda della riunione del G7 dei ministri delle Finanze che si terrà a maggio a Bari. Il ministro si è detto favorevole ad affrontare il tema della tassazione delle nuove forme di impresa nate con l’economia digitale. “Il governo è impegnato a esplorare canali come la web tax”, ha sottolineato Padoan, nel corso di un’audizione di fronte alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato. “Ritengo che sia un’area assolutamente indispensabile da esplorare ma complessa per ragioni sia politiche che tecniche”, e ancora: “una tassa simile sarebbe ottimale se adottata da più paesi almeno a livello europeo”. “Ribadisco l’impegno del governo a esplorare questi canali”, ha detto il ministro; la cosiddetta tassa su Airbnb è un’opzione come possibile “fonte possibile di reddito”.