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Vi racconto annunci e incognite nel discorso di Trump al Congresso

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Un grande, grande muro con il Messico; un grande, grande taglio alle tasse per i ceti medi; grandi, grandi investimenti in infrastrutture; una grande, grande controriforma sanitaria. Donald Trump si è presentato per la prima volta al Congresso con tutta la sua grandeur. Ma per molti versi è stato anche un grande, grande discorso che ha saputo toccare le corde più sensibili per il suo popolo e per il suo partito. Sì, perché ieri il Grand Old Party è stato il suo partito e lo ha dimostrato con scroscianti applausi e fragorose standing ovation anche per Melania. Vedremo che accadrà quando dovrà votare provvedimenti difficili da gestire e soprattutto da finanziare.

E’ questo il problema forse più importante sul piano domestico perché c’è il rischio che si crei un grande. grande debito, più grande ancora di quello attuale riproponendo il braccio di ferro con il Congresso che abbiamo già visto più volte durante i due mandati di Barack Obama. Sul piano estero il rischio è insito in una delle frasi a effetto di Trump: “L’America è pronta a guidare il mondo. Un nuovo capitolo della grandezza americana sarà aperto”. Con lui sarà tutto grande, grande. Ma vediamo i passaggi chiave del discorso.

Sui rifugiati il presidente dice che “non è compassione ma incoscienza permettere un ingresso incontrollato da luoghi dove non esistono controlli adeguati”. Di qui un nuovo divieto dopo quello che è stato annullato dai tribunali, ma dall’elenco dei “paesi canaglia” scompare l’Iraq.

Contro l’Isis lotta senza quartiere: ”Come promesso ho dato disposizioni al dipartimento della difesa di mettere a punto un piano per demolire e distruggere l’Isis, una rete di selvaggi senza legge che hanno massacrato musulmani e cristiani, uomini, donne e bambini di tutte le fedi e i credi”.

Cresceranno le spese per la difesa (anche se in realtà, stando a quel che è emerso finora, non si tratta di un aumento grande, grande). Sulla Nato ha ripetuto il suo sostegno, ma “ci aspettiamo che i nostri partner, nella Nato o in Medio Oriente, assumano un ruolo diretto e significativo nelle operazioni militari e paghino la loro giusta quota di costi”.

Trump propone un nuovo sistema d’immigrazione “che abbandoni quello attuale che vede arrivare manodopera poco qualificata e venga basato sul merito, come in Canada e in Australia”. Ma sul Messico non torna indietro: “Costruiremo presto un grande grande muro che contribuirà a fermare il traffico di droga e il crimine”.

Via anche l’Obamacare: “Oggi chiedo al Congresso di cancellare e rimpiazzare l’Obamacare con riforme che aumentino la possibilità di scelta, abbassino i costi ed allo stesso tempo forniscano una sanità migliore”. Repubblicani e democratici dovrebbero “lavorare insieme per salvare gli americani dalla disastrosa Obamacare che sta implodendo”.

Dal Congresso il Presidente vuole anche mille miliardi di dollari di investimenti in infrastrutture , “finanziati con capitale pubblico e privato, creando milioni di nuovi posti di lavoro”.

Sulle tasse c’è la grande, grande promessa. Ma per capire cosa vuol dire una forte riduzione per la classe media bisognerà aspettare un provvedimento articolato perché il diavolo fiscale è più che mai nascosto nei dettagli. Se ci si basa sul suo programma elettorale, si tratta in realtà di un taglio maggiore sulle imposte pagate dai ceti più abbienti. Soprattutto bisognerà capire quanta parte verrà finanziata in deficit.

Contraddittorio il passaggio sul protezionismo. “Sono un forte sostenitore del libero scambio” ma con l’accordo commerciale Nafta, con Messico e Canada, “gli Stati Uniti hanno perso il 25% della loro occupazione nell’industria”. Quindi occorre rivedere gli accordi commerciali in modo tale da non svantaggiare le imprese americane. Come? Con dazi, tariffe, barriere all’ingresso?

Per molti versi The Donald ha voluto indossare le vesti di Ronald, e gli accenti sulle tasse e sull’America che guida il mondo sono reaganiani. Ma se il canovaccio può sembrare simile, non lo è l’attore e soprattutto il teatro in cui recita. Il bipolarismo era già in crisi nel 1981, un’Unione sovietica aggressiva emetteva gli ultimi rantoli in Afghanistan, ma i Paesi emergenti erano quelli petroliferi tra i quali dominava l’Arabia Saudita militarmente dipendente dagli Usa. C’era in nuce il risveglio islamico, non il terrorismo di massa né il Califfato. Soprattutto non c’era la Cina e con lei una corona di economie che dal Terzo Mondo fanno irruzione entro il Primo e lo trasformano. Trump vuole guidare questo mondo che, anche grazie alla globalizzazione, è diventato davvero grande, grande. E lo vuol fare da solo. Good luck!

Stefano Cingolani



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