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Che cosa ha detto Matteo Renzi al Lingotto di Torino

Matteo Renzi

È partita venerdì nel tardo pomeriggio la campagna per la segreteria del Pd. Il mondo renziano si è dato appuntamento a Torino, al Lingotto, dove il Pd era nato nel 2007, per “ripartire”. Ripartire, ha scandito Matteo Renzi, dall’Europa, dall’Italia e dalla rete. Ripartire dopo la batosta del 4 dicembre, la sconfitta al referendum costituzionale che ha stoppato il sogno riformista dell’ex premier. Che quella sia stata una semplice battuta d’arresto o il tramonto della sua stella lo diranno in parte le primarie ma soprattutto le politiche. Di certo, ma questo si sapeva da tempo, Renzi vuole giocarsi la partita e quel famoso proposito “se perdo vado a casa” è ormai sepolto e dimenticato.

Per ottenere riscatto politico l’ex segretario dovrà prima liquidare gli avversari che si è ritrovato in casa, Michele Emiliano e Andrea Orlando, a cui ha rivolto “un caloroso in bocca al lupo”. Dopodiché tenterà il riscatto sfidando il Movimento 5 Stelle, secondo gli ultimi sondaggi (fonte Tg La7) ormai il primo partito d’Italia con il 29,1% (il Pd è calato al 28%).

IN PLATEA FASSINO E CHIAMPARINO

Alla chiamata di Renzi hanno risposto in tanti, riempiendo il padiglione del Lingotto. A far gli onori di casa due big, Piero Fassino e Sergio Chiamparino, che il segretario uscente ha ringraziato per il lavoro svolto nella trasformazione della città. Ringraziamenti – un po’ a sorpresa – anche all’ospitalità della sindaca grillina Chiara Appendino, a cui Renzi ha dedicato un “deferente e rispettoso saluto”. In platea c’erano poi il segretario del Pd piemontese Davide Gariglio, il senatore Stefano Lepri, le deputate Silvia Fregolent e Paola Bragantini, in attesa degli altri pezzi da novanta del partito, attesi al Lingotto fra sabato e domenica.

Renzi ha parlato quasi un’ora, fissando i punti cardine del “suo” Pd. Che non si discostano da quanto ha sempre predicato, dai tempi della rottamazione passando per l’esperienza di governo. Ottimismo, europeismo critico, riformismo, e una certa allergia per i tradizionali cavalli di battaglia delle sinistre. Tutto condito con una buona dose dell’ormai nota retorica renziana.

RENZI “COPIA” GRILLO SUL WEB

La “novità” più rilevante, se così si può dire, non sta tanto nel merito ma nel metodo del nuovo Pd immaginato da Renzi. L’ex premier ha lanciato la sua nuova piattaforma online, la versione Dem di Rousseau, la “creatura” grillina partorita dalla Casaleggio Associati. Quantomeno il nome è diverso: si chiamerà Bob, come Bob Kennedy. “Non lasciamo il web a chi fa soldi e business con gli ideali degli altri” ha aggiunto l’ex segretario. Altro elemento di novità, l’avvio di una scuola di formazione politica renziana. “Chiamatela pure Frattocchie 2.0, se volete sfotterci” ha detto Renzi riferendosi alla famosa scuola della classe dirigente del Pci.

TRE OBIETTIVI

Per il resto, l’ex segretario ha fissato le priorità della sua campagna. Ha posto al suo Pd tre obiettivi: “Offrire all’Italia una prospettiva per i prossimi dieci anni, proporre una classe dirigente non improvvisata e alimentare la speranza dei cittadini”. E ancora: “O il Pd diventa lo strumento per dare una visione da qui al 2027, oppure non serve più”. Critico, Renzi, sul recente dibattito interno in tema scissione. Senza mai nominare Enrico Rossi e Roberto Speranza, con loro ha polemizzato: “Il ping pong nauseante degli scorsi mesi ha stancato gli addetti ai lavori, figuriamoci i cittadini”. Sostenuto da grandi applausi della platea amica, Renzi ha marcato la differenza con “chi sa dire solo no ed è capace solo a protestare. Dobbiamo ridare senso alla parola ‘compagno’. Il compagno è colui che condivide l’essenziale. Ma se il mondo ci propone Trump e Le Pen e noi parliamo delle nostre discussioni interne, significa che non capiamo i problemi veri”.

PATRIOTTISMO DI SINISTRA

“Io per l’Italia dei prossimi dieci anni parto da Bruxelles – ha proseguito Renzi -. Chi spara sul Pd indebolisce l’argine della tenuta europea. Ma bisogna togliere la gestione dell’Europa alle burocrazie, eleggere direttamente il presidente della Commissione, restituire il potere ai cittadini”. Un tema, quello della critica a questa Ue, caro all’elettorato avversario, sia grillino che sovranista. E proprio pensando alla nuova destra di Salvini e Meloni, Renzi ha provato a sdoganare una battaglia che di sinistra non è mai stata: quella del patriottismo. “Abbiamo avuto una stagione di premier tecnici (riferimento a Mario Monti, ndr) animati da sentimento anti-italiano. “Ce lo chiede l’Europa”, dicevano sempre. Forse hanno migliorato i conti pubblici ma hanno disintegrato l’idea di Europa dei padri fondatori. Identità e patria devono appartenere anche al Pd e, come diceva Orwell, patriottismo e sinistra prima o poi dovranno tornare insieme”.

AUTOCRITICA? NO GRAZIE

Parlando del Pd, Renzi ha detto che a un partito “leggero o pesante” preferisce un partito “pensante e consapevole della propria forza”. Ha rimarcato l’identificazione del ruolo di segretario e premier “senza cui in Europa non avrei ottenuto nessun risultato sulla flessibilità”.

Nel rimarcare l’appoggio a Gentiloni, Renzi, ha rivendicato i risultati della sua azione di governo, lasciando poco spazio all’autocritica. Ma del resto, da lui, nessuno se l’aspettava. “Se c’è stato un errore, è quello di non aver coinvolto a sufficienza la gente con un riformismo che partisse dal basso. Alcune riforme non hanno funzionato, a partire dalla scuola”. L’ex presidente del consiglio ha invece esaltato i risultati del jobs act. “Il numero degli occupati è il più alto dal 2008, lo dice oggi l’Istat. Settecentomila nuovi posti non sarebbero stati possibili senza la scommessa di riformare il mercato del lavoro”. Ha poi stroncato il reddito di cittadinanza proposto dai grillini: “Non può passare il messaggio che la rendita sia più forte dell’occupazione”.

“IO CI SONO, CON ENTUSIASMO E FERITE”

L’intervento di Renzi si è chiuso con l’abbraccio al ministro Maurizio Martina, con cui condivide il “ticket”, e senza alcun riferimento esplicito al caso Consip, che coinvolge papà Renzi, Tiziano, e il suo fedelissimo Luca Lotti, ministro dello Sport, entrambi indagati. “Dalla nostra parte non verranno mai le polemiche ad personam che quest’ultimo periodo abbiamo dovuto subire – ha detto – Risponderemo alle battaglie rancorose con il sorriso, questo è il nostro Pd. Io ci sono, con il mio entusiasmo, le mie energie e anche le mie ferite”.


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