Perfida Divina.
Non dimentichi il mantello bianco domani.
Cordialmente Boldini.
Alla Marchesa Dora di Rudinì
Così si legge su un biglietto del pittore ferrarese alla marchesa Rudinì e già, in queste poche righe, si svela la natura di un appuntamento tra l’artista e la sua modella e l’intento di una mostra con centosessanta opere in mostra, dal 4 Marzo al 16 Luglio 2017 , nell’ Ala Brasini del Vittoriano a Roma
Il pittore della bella epoque che da Ferrara si trasferisce a Firenze, poi a Napoli, poi ancora a Parigi e a Londra venendo a contatto dei più illustri artisti della seconda metà dell’Ottocento senza perdere di vista la propria originalità diviene l’emblema di un secolo.
Giovanni Boldini nasce a Ferrara il 31 dicembre del 1842 , a poco meno di vent’anni dall’Unità d’Italia, in pieno Risorgimento, cresce e matura negli ideali romantici nella casa paterna dove comincia a dedicarsi alla pittura da piccolissimo, seguendo le orme del padre Antonio restauratore e pittore allievo di Tommaso Minardi.
E’ a Firenze nel 1862 che comincia a frequentare l’ Accademia delle Belle Arti e viene a contatto con le personalità e gli artisti fiorentini al Caffè Michelangelo. Erano gli anni che succedevano di poco ai discussi progetti di Cavour con Napoleone III e del trattato di Plombieres , periodo che vedeva, tra l’altro, il Gran Ducato di Toscana sotto l’influenza francese con i progetti politici poi falliti , per l’avvenuta unificazione di molte regioni al Regno decisa per elezione plebiscitaria. E’ il periodo successivo all’Unificazione, il periodo del regno di Vittorio Emanuele II Re Eletto quando anche il Ducato di Parma e Piacenza , il Ducato di Modena e Reggio vennero annessi al Regno insieme alle Marche, l’Umbria e le città di Benevento e Pontecorvo, gli anni della Spedizione dei Mille e di Vittorio Emanuele Re d’Italia. E’ il periodo tanto travagliato in cui “ Fatta l’Italia” bisognava “fare gli Italiani”, ma se la bilancia dei pagamenti si è aggravata per le ingenti spese dell’unificazione e l’economia al centro sud è pressoché immobile, al nord l’industrializzazione è fiorente, prende slancio ed è l’altra faccia dell’economia che darà impulso alla storia delle alleanze e degli accordi rafforzando la posizione dell’Italia in Europa.
Boldini in quegli anni è a Firenze dove conosce i pittori Giovanni Fattori, Odoardo Borroni, Telemaco Signorini e i suoi amici inseparabili Michele Gordigiani e Cristiano Banti. Poco dopo , nel 1865 si trasferisce a Napoli con l’amico e pittore Banti e nel 1867 a Parigi dove conosce Edgar Degas, Alfred Sisley e Eduard Manet. Sono gli anni della moda parigina, delle donne eleganti e sontuose, delle divine regine della mondanità, dei balli e delle feste di palazzo dove si decidevano le sorti d’Italia e d’Europa tra il fascino delle femmes fatales e lo sguardo attento degli artisti pronti a catturare ogni barlume di quella strana atmosfera che appartiene solo all’attimo vissuto e al momento in cui la storia si compie. Quella dell’aristocrazia e dell’alta borghesia è in Italia una dimensione parallela, l’altra faccia dell’erma bifronte, del lusso e dell’eleganza contrapposto ai nascenti disagi delle classi contadine ed operaie; agli agi dei quartieri alti delle grandi città e alla penombra delle periferie.
Boldini è affascinato dalle “divine e perfide”, le donne avvolte dai veli e dalle piume di struzzo, coperte di gioielli, ornate dalla frivolezza di un cappellino azzurro, dall’oriente bianco dei fili di perle, dalle serate a teatro. Le pennellate sono veloci e decise , sembrano i segni di un fioretto che vibra nell’aria e ferisce la tela. Boldini ritrae la disinvoltura delle donne belle ed aristocratiche, l’allegria, il garbo, la sensualità e l’intelligenza di donne capaci di tessere relazioni pubbliche di alto rango e persino di tramare non solo le sorti private della società dell’epoca, ma anche le relazioni politiche, culturali ed internazionali di quegli anni.
Boldini ritrae donne influenti dell’aristocrazia e della borghesia parigina ma anche londinese del tempo e ritrae le divine Italiane: Donna Franca Florio, la Marchesa Luisa Casati, donne che hanno lasciato il loro ricordo tra le pieghe della storia, tra i veli e i volants di un’epoca.
Boldini è amico delle donne, suggerisce loro il colore dell’abito da indossare, lo sceglie nell’intimo della loro stanza , tra le pareti che abbracciano l’armadio, sceglie i gioielli che vuole indossino mentre poseranno per lui nelle loro posture naturali, piene di charme, lievemente abbandonate, reclinate, dove le scollature e le spalline degli abiti lentamente cedono o generosamente si aprono. Boldini è capace di catturare la vitalità dello sguardo, il sorriso brioso delle labbra e del volto, la gioiosa composizione di un movimento in leggera torsione del corpo, del busto, del capo e la figura si staglia in tutta la sua maestosa bellezza davanti agli occhi ammaliati dell’osservatore.
Sia nei grandi quadri, che nei piccoli, sia nei dipinti ad olio che nei disegni a pastello grandi o piccoli, riesce a mantenere vivo il fuoco del gesto, dello sguardo e di un leggero moto del corpo.
Fisicità e tempo. L’attimo è colto in tutta la sua pienezza sia nella figura ritratta da seduta, sia nella figura stagliata in piedi nella sua interezza. L’impressione che si ha è di affacciarsi attraverso il quadro su tutta un’epoca che ci guarda da una superficie piatta e nello stesso tempo profondissima, una sorta di “porta delle stelle”, un passaggio dal presente al passato, lontanissimo ed eterno. E anche le mani dai contorni quasi impressionisti, sfumati, abbozzati, inesatti e sfuggenti sono estremamente loquaci.
Le mani di Giuseppe Verdi, nel ritratto che l’artista realizza nel 1886, ferme e abbandonate sulle gambe , sono nel medesimo tempo realiste e vitali, mani di un compositore che rivelano l’incapacità di stare completamente ferme.
E poi la vitalità libera di Gabrielle de Rasty, la sensuale amante dell’artista nelle pose erotiche e nel nudo e privato abbandono che i colori di Boldini rendono immortale attraverso la luce subitanea del sorriso che diventa vezzo.
Tutta la meravigliosa storia di un’epoca è racchiusa tra le sciabolate di un pennello su di una tela, tra un vortice arruffato di colore che vuole catturare l’aria, il vento e l’attimo di un evento mondano ormai troppo rarefatto e lontano, perso tra le pagine della storia immortale e irripetibile, nel riflesso della luce sul cerchio di un bracciale, sui lillà di una scollatura, sul lungo filo di perle, e sulla dedica incisa su un ventaglio.
Tutto questo è Giovanni Boldini, l’immagine affascinante ed elegante del tempo che fu. La bella epoque.