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Tutti gli errori della costruzione dell’Unione europea

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Il dato distintivo dell’Unione europea nel suo storico formarsi è duplice. In primo luogo impedire una nuova guerra tra Francia e Germania: e questo fa parte del cosiddetto sogno europeo. Poi c’era l’idea di istituire uno strumento economico che combattesse il comunismo sovietico. Tale costruzione è consustanziale al dipanarsi della guerra civile europea post Seconda guerra mondiale, che ha aspetti inediti, perché contrassegnata dall’inaspettata posizione globale dell’Unione Sovietica.

È solo questo fondamentale ruolo internazionale che spiega, per esempio, la presenza di figure come quella di Jean Monnet – nominato nel 1952 presidente dell’erigenda Ceca – nel processo di definizione delle regole europee. Il suo ruolo, unitamente alla pressione tedesca, è stato decisivo. E comprenderlo significa intendere il vizio di origine della costruzione europea. La configurazione intellettuale individuata da Monnet della via istituzionale da seguire per la costruzione dell’Europa è ancor oggi il punto di riferimento: la via funzionalista. Siamo stati troppo accecati dal dilagare dell’ideologia federalista così da assumere irriflessivamente ch’essa sia la linea guida della costruzione europea. Nulla di più errato. La crisi dello Stato-nazione è un’illusione. Da un lato, certamente, lo Stato-nazione perde gradi sempre crescenti di sovranità, sino a giungere a perdere quell’aspetto decisivo per la vita di un Paese: la sovranità monetaria. Ma nel contempo, a ogni sovranità tecnico-funzionale perduta, gli Stati riacquistano crescenti sovranità immateriali senza cui non può svolgersi la vita civilmente intesa. E senza questa sorta di “de-martiniano” trascendimento dell’essere, non può più esistere il sogno europeo.

All’inizio del suo formarsi negli anni 70, esso si nutriva della speranza che il crollo delle dittature iberiche avesse tra le sue cause l’inverarsi di un disegno europeo propulsore di una democratizzazione che si presentava altrimenti più lunga, difficile e sanguinosa. Così, anche la stessa transizione a est di Stati schiacciati dal post-stalinismo sembrò garantita da un disegno europeo fortemente democratizzante e pacificatore. L’insorgere della crisi finanziaria dei primi anni 2000, seguita dalla deflazione tedesca potenzialmente secolare, sconvolse e sconvolge queste prospettive. La ragione di questa caduta risiede nel fatto che le istituzioni tecnocratiche mancano di una base morale e financo di basi di legittimazione politica secondo il principio di maggioranza: ai parlamenti e alle istituzioni nazionali rimane il potere di deliberare su materie non assegnate alle istituzioni tecnocratiche.

L’Europa si è costruita istituzionalmente nel peggiore dei modi; non ha saputo costituirsi né con i mattoni del federalismo, né con quelli del con-federalismo. Ha scelto inconsciamente e disgraziatamente la via funzionalista propugnata da Jean Monnet. Il principio dei legami forti si raggiunge per via funzionalista. Nessuna assemblea costituente che incita alla sottrazione di sovranità per camminare sul filo federale: l’assunto funzionalista recita in assenza della precondizione di fondo da cui scaturisce l’integrazione, ossia una comune cittadinanza, il solo fondamento morale di un processo costituente.

Il funzionalismo è profondamente cosciente – con Thomas Marshall – che solo la cittadinanza fonda la legittimità dello state building (tanto più federale!) e non può essere improvvisata, perché è frutto di un processo secolare. Democrazia senza cittadinanza: ecco il limite del federalismo per il funzionalismo, che è il limite stesso del liberalismo incapace di trovare da se stesso le basi del suo fondamento.

Il limite profondo del funzionalismo è tuttavia molto più immediato: ipostatizza un mondo senza poteri e senza conflitti di potenza tra Stati. La politica, invece, distrutta sul piano della legittimazione, ritorna imperiosa tramite il principio di potenza perché, prima della guerra, la forza degli Stati altro non è che politica; politica che altro non può fare che esplicarsi proprio in quelle istituzioni tecnocratiche che il principio funzionalista ha eretto e presuppone estranee alla politica. Questo non è solo un limite del funzionalismo: è una sua minacciosa presenza, perché la guerra è sempre la continuazione della politica con altri mezzi. Abbiamo ricordato che senza guerra civile europea non si sarebbe costruita l’Europa così rapidamente come le teorie funzionaliste hanno consentito di fare.

Ora che la guerra civile europea è terminata, con il crollo dell’Urss e del suo sistema di potere globale, vi è da domandarsi se il conflitto di potenza risorto sotto nuove forme sia ancora una ragione sufficiente per consentire il non sgretolamento europeo a fronte dell’emergere di un conflitto interstatuale di potenza completamente nuovo e che può, invece essere acuito e ingigantito dalla presenza stessa dell’Unione europea nelle sue attuali forme. Ma sarà quello che già ora è: un mondo senza sogni.



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