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Galantino, Riccardi e Koch celebrano i 60 anni dei Trattati di Roma

Galantino

Una cerimonia in grande stile nel centro di Roma, nella basilica dei Santi XII Apostoli, a due passi da Piazza Venezia e dal Palazzo del Quirinale. Una preghiera ecumenica per l’Europa, alla vigilia del sessantesimo anniversario di quei Trattati di Roma che, nel marzo del ’57, con la firma dei sei Paesi fondatori e con l’impegno di dar vita a un mercato comune e a un’assemblea parlamentare condivisa, istituirono la Comunità economica europea. È la Chiesa “in uscita” di Papa Francesco, che prende in questo modo la forma di attore sociale, corporeo e distinguibile. Con idee chiare e un linguaggio visibile e diretto, lontano da astrazioni e metaforismi. “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no”, diceva infatti Gesù in quel Discorso della Montagna sbandierato e brandito da commentatori e porporati.

“Mentre molti invece pensano ancora che basta auto-presentarsi come cristiani perché ci venga subito riconosciuta la funzione di punto di riferimento”, ha echeggiato mons. Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, durante la celebrazione. “Se invece volete conoscere Dio non argomentate troppo su di lui, ma fate piuttosto qualcosa di concreto, di talmente bello e sensato che chi vi incontra vi chieda: ma in nome di chi lo fai?”, ha tuonato il prelato. Annotando: “È quello che ci sta indicando papa Francesco, quando dice che la Chiesa non cresce per proselitismo ma per testimonianza dell’azione”.

La stessa idea europea “non fu confessionale, ma fu cristiana, e crebbe con la passione delle Chiese di allora”, ha poi asserito Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, domandandosi: “Oggi quali sono gli interrogativi di noi cristiani, quando il mondo è a rischio di guerra e dobbiamo accontentarci di silenzio o di pensieri corti?”. Chiosando: “La voce forte di papa Francesco resta solitaria, in un cristianesimo frammentato come la nostra Europa, poco capace di uscire dagli egocentrismi di gruppo o ecclesiastici, che sanno esprimere dei sì ma sempre con dei però, incapaci di nutrire una visione”.

Alla celebrazione, presieduta dal cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e organizzata dalle comunità e dai movimenti cristiani di “Insieme per l’Europa”, una rete di più di 300 comunità e movimenti cristiani europei moderata dal tedesco Gerhard Pross, hanno preso parte numerose autorità religiose rappresentanti, in spirito ecumenico, le varie confessioni: c’era ad esempio la chiesa Evangelica Luterana, la Chiesa Ortodossa Russa, la Tavola Valdese, il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e molte altre.

Tutto ciò, la sera prima dell’incontro in Campidoglio tra capi di Stato europei, all’interno di una città che si prepara ad essere blindata, schiacciata dalle manifestazioni di europeisti e anti-europeisti che si sovrappongono agli attentati di Londra e al rinvigorimento dello spettro terrorista. “Perdona la nostra insensibilità e le nostre paure, la nostra poca speranza, i nostri egoismi e nazionalismi. Perdona la nostra indifferenza verso i rifugiati, uomini e donne, bambini e anziani arrivati in Europa. Insegnaci a riconoscerli tutti come fratelli e nostre sorelle”, è stato l’atto di perdono recitato all’inizio della cerimonia. Una preghiera che diventa invocazione ma allo stesso tempo atto politico, consapevoli che la politica è frutto delle mani degli uomini e delle loro voci.

È anche per questo che Bergoglio, nel pomeriggio, ha ricevuto le delegazioni di tutti Paesi del vecchio continenti: nella Sala regia del Palazzo Apostolico ad attenderlo c’erano infatti Merkel, Hollande, Gentiloni, Rajoy, Tusk, Junker, Tajani, e i leader dei 27 Paesi. E di fronte a loro ha di nuovo proclamato: “L’Europa eviti di ridurre i suoi ideali fondativi” a “necessità produttive”. “Oggi si è persa la memoria della fatica di far cadere il muro”, ha poi continuato: “quell’innaturale barriera che dal Mar Baltico all’Adriatico divideva il continente, con tutta la “consapevolezza della povertà e della miseria che provocò”. Aggiungendo che “senza cristianesimo sono incomprensibili i valori dell’Occidente”: quel cristianesimo “denominatore comune dei Padri dell’Europa”, ha concluso.

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