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Giornali o social, a chi possiamo credere nell’era delle fake news?

fake news

Il British Oxford Dictionary ne ha fatto la “parola dell’anno” nel 2016: la “post-truth”, da sempre una piaga del mondo dell’informazione, ha trovato in Internet una potente cassa di risonanza o, come ha scritto il dizionario britannico, “i fatti oggettivi diventano meno capaci di dar forma all’opinione pubblica mentre conquistano la fiducia e il consenso di chi legge le informazioni che fanno appello alla sfera emotiva e alle convinzioni personali”. Il tema è stato al centro di The Rome Debate: Rebuilding trust in the misinformation era, organizzato da Eacd presso la sede romana di Enel e moderato da Marco Magli, capo relazioni esterne di Avio Aero (General Electric) e coordinatore di Eacd in Italia.

L’ERA DELL’IRRAZIONALITA’

E’ l’irresistibile attrattiva dell’irrazionale a garantire che le bufale abbiano una presa robusta, come una colla ultra-resistente, dando voce a un pubblico “arrabbiato” e che si sente “non rappresentato”, come ha sottolineato Anthony Gooch Gàlvez (nella foto a destra), direttore Public Affairs and Communications dell’Ocse e vice-presidente di Eacd. Gooch ha citato uno studio dell’Ocse che analizzava i possibili scenari post-Brexit (prima del voto in Gran Bretagna) e evidenziava le ricadute negative sull’economia e sulla ricchezza dei cittadini Uk, una pesante “tassa Brexit”, con cifre che variano da 3.200 a 5.000 sterline l’anno fino al 2030 a seconda degli scenari. “Uno stipendio in meno l’anno”, ha sintetizzato Gooch. Nel riportare la notizia, però, alcuni siti di “informazione” hanno messo da parte quell’elemento, posto in dubbio l’indipendenza dell’Ocse dall’Ue e fatto appello alle paure del cittadino medio: l’invasione delle regole europee e un presunto impoverimento del paese indotto dall’arrivo degli stranieri.

IL PUBBLICO INFLUENZA I MEDIA

Certo, la linea di demarcazione tra dire il falso o semplicemente omettere un dato o esprimere un’opinione, per quanto irrazionale e rabbiosa, è sempre più difficile da tracciare. Preservare la libertà di espressione e il libero mercato garantendo la credibilità dell’informazione e sanzionando l’incitamento all’odio è un compito complesso non da ultimo perché editori, direttori di testate, giornalisti, pubblicitari si trovano a svolgere i loro ruoli in modo insolito. Paolo Messa, fondatore di Formiche, membro del cda Rai e direttore del Centro Studi Americani, ha parlato di “disintermediazione” e di un condizionamento più o meno sottile dei social network che spingono le testate a essere dove sono i click. “I media hanno perso il potere di dare forma all’opinione pubblica; adesso è l’opinione pubblica a influenzare i media”, ha detto Messa. Ma questo riesce ancora a garantire la correttezza dell’informazione? “Bisogna scegliere come investire il budget pubblicitario, seguire la qualità per preservare il media system e la sua credibilità”.

REPUTAZIONE BATTE CLICK

Anche per chi fa comunicazione corporate le complessità aumentano: “Siamo costretti a comunicare in modo veloce, parlando a una platea globale, senza alcun margine di errore”, ha detto Ryan O’Keeffe (a sinistra nella foto), direttore Comunicazione di Enel. La soluzione? “Conosci il tuo pubblico”, secondo O’Keeffe, “bisogna capire con chi stiamo comunicando e come farlo”. Ancora: “La reputazione è la licenza che ci permette di restare con successo sul mercato; chi ragiona sul breve periodo può essere indotto a piazzare pubblicità su siti ad alta visibilità ma che, se non sono affidabili, polverizzano in un istante la credibilità di un’azienda costruita nel corso di anni. Meglio guardare sul lungo termine e preservare qualità e valori: reputazione batte click, sempre”.

IL FATTORE TEMPO (E DENARO)

Anche il giornalista si trova in una posizione inedita. “I media tradizionali hanno perso credibilità perché li si ritiene parte del ‘sistema’ e in questo momento il ‘sistema’ è il grande nemico”, ha detto Luigi Contu, direttore dell’agenzia Ansa. “Possiamo fare autocritica, ma molte testate ‘tradizionali’ sono ancora fondate sulla verifica delle fonti, sul controllo dei fatti, sull’assunzione di ‘responsabilità’ per le notizie che diffondono”. E’ un lavoro di qualità che è oggi minato da due fattori: il tempo e il denaro. “C’è un’enorme pressione a scrivere velocemente perché i social media ci battono sul tempo, ma fare le cose di fretta vuol dire tagliare sulla qualità”. E nell’era in cui tutti su Internet possono scrivere qualunque cosa, in qualunque modo, e gratis, si tende a dimenticare che il giornalismo è un mestiere che richiede risorse e investimenti.

REGOLARE I SOCIAL? NO, GRAZIE

Dobbiamo allora introdurre nuove regole, vietare che i social network diventino “editori”? Impossibile e anche sbagliato, secondo Aura Salla, adviser for Communication and Outreach dello European Political Strategy Centre della Commissione europea: “Non si possono regolare i social e non si può controllare tutto”. C’è però un innegabile problema di linguaggio. Donald Trump scriverà pure raffiche di tweet “impresentabili” ma è così che ha conquistato i suoi elettori, perché ha detto – e continua a dire – quello che la gente vuole sentire nel modo in cui lo vuole sentire. “Non significa che dobbiamo adottare il modello di comunicazione di Trump, ma dobbiamo dare messaggi con cui le persone possono relazionarsi”, ha sottolineato Salla. Sì, anche tramite i social network.

PROTEGGIAMO GLI ELETTORI

Ma se parlare di “regulation” è tabù, per Gooch dell’Ocse non si può nemmeno accettare il Far West dove ognuno fa come gli pare. E allora ecco la provocazione: l’Europa ha una fortissima consumer protection, facciamo un passo avanti e cerchiamo di garantire anche una “voter protection“. “Non stiamo facendo nulla per evitare che la democrazia sia abusata. La libertà di espressione è libertà di dire i fatti come stanno contro ogni condizionamento, ma non equivale a libertà di raccontare bufale”. E non finisce qui: apprezziamo lo slow food all’italiana, garanzia di qualità nel mangiare? Così dovrebbe essere nell’informazione: slow news o slow media come garanzia di accuratezza e – perché no? – occasione di rilancio per le testate giornalistiche. “Non importa essere i primi, l’obiettivo è essere i migliori“, ha affermato Gooch. Chi si prende tempo per verificare e  approfondire, premiando il valore sul tempo, riscoprendo anche il pluralismo delle voci e delle notizie, oggi troppo anglo-centriche, potrebbe avere in mano la formula magica per smontare le fake news.

EDUCAZIONE E ALGORITMI PER SGONFIARE LA “BOLLA”

Di formule anti-bufale ce ne possono essere varie e forse sarà un loro sapiente mix a fermare l’avanzata della notizia falsa e tendenziosa. Per Aura Salla si parte dalla scuola, da insegnanti qualificati e giovani, per proseguire con la sensibilizzazione del grande pubblico perché si riscopra il senso critico. Anche per Paolo Messa il sistema dell’informazione è garantito se ci sono non solo giornali migliori ma “lettori migliori”, che si costruiscono con un’alleanza tra media, scuole e famiglie.

Perché l’informazione non corretta non nasce dal nulla: è figlia di una precisa società e di un determinato sistema politico. Le versioni ingannevoli dei fatti, i pregiudizi e i pareri estremi e violenti oggi riescono a rappresentare le persone più di quanto sappiano fare categorie obsolete. “Democratici o Repubblicani: quanti americani dell’era Trump si sono riconosciuti in questa datata suddivisione?”, ha chiesto Gooch. E’ il mondo che deve cambiare se vogliamo che chi parla e scrive di quel mondo cambino: è la protesta contro il fantomatico “sistema” ad alimentare le fake news. E’ anche possibile che la post- verità sia un “bolla” che esplode e si esaurisce da sé, ha ipotizzato O’Keeffe di Enel, man mano che diverrà lampante per tutti che questi luccicanti falsi mandano fuori strada come gli abbaglianti di un’auto che ci viene incontro nella notte. Meglio ancora: “Arriverà nei prossimi anni un algoritmo che sarà capace di filtrare le bufale nel mare magnum delle storie che circolano su Internet”. E così la tecnologia che ha creato le piattaforme che fanno il tam tam mondiale delle fake news potrebbe tornare a salvarci con intelligenti codici cattura-falsi.

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