Emergono due tendenze: uno spostamento a destra del baricentro politico e quindi delle piattaforme programmatiche e una frammentazione politica superiore rispetto al 2012, con i due partiti maggiori attorno al 20-30% dei consensi e 3-4 partiti attorno al 10-15%. Alla luce di ciò, due sono gli scenari più probabili.
È possibile prevedere uno scenario in cui il Pvv e Vvd arrivino testa a testa o con pochissimi seggi di scarto. In questo caso, riteniamo probabile un accordo anti-Wilders delle principali forze politiche: Rutte, seguito da altri partiti di centrodestra (Csa/D66), ha infatti recentemente escluso una coalizione con Wilders, (nella foto). È quindi da ritenersi poco probabile il ripetersi dell’ipotesi di un governo di minoranza “alla danese”, in cui il partito anti- immigrazione fornisce supporto esterno.
Il Pvv aveva praticato questo sistema nei primi mesi di governo dopo le elezioni del 2010, ma poi Cda e Vvd si erano allontanati a causa delle polemiche interne ai partiti sulla collaborazione con il Pvv. Pertanto riteniamo assai improbabile una nuova alleanza di Vvd e Cda con Wilders. Nello scenario più plausibile, quindi, si passerebbe dall’attuale governo di coalizione a due (Vvd-laburisti) a una coalizione a tre/quattro (Vvd-Cda-D66-laburisti). Questo potrebbe portare a un periodo abbastanza lungo di transizione alla ricerca di un equilibrio fra le forze della nuova coalizione (scenario “spagnolo”) per la formazione di un nuovo governo, seguito poi da un’agenda politica poco ambiziosa e da una latente instabilità che potrebbe sfociare in elezioni anticipate. In questo scenario il rischio di un referendum sulla Ue sarebbe scongiurato. Lo stesso a maggior ragione può prevedersi nel caso il partito di Rutte riesca a rimanere saldamente il più votato.
È altrettanto possibile che il Pvv sia il partito più votato e gli altri a tutta prima non riescano a mettere in piedi una coalizione. Anche in questo caso, difficilmente Wilders potrà guidare un governo (o una coalizione). Anche nel caso si confermasse come il partito di maggioranza relativa, sarà difficile per Wilders trovare partiti desiderosi di supportarlo (suoi possibili o dichiarati alleati per ora non ce ne sono). Senza una maggioranza in parlamento, il Pvv farà molta fatica a mantenere le proprie promesse elettorali, specialmente riguardo al referendum sulla Ue. La prassi costituzionale prevede infatti che il governo uscente rassegni al re le proprie dimissioni prima delle elezioni, il quale le accetta con riserva. Successivamente, il presidente della Seconda Camera nomina uno o più informateur per esplorare l’esistenza di possibili maggioranze (e preparare un accordo di coalizione, di solito); quindi l’informateur propone alla Camera un formateur (tipicamente il capo del partito di maggioranza relativa) per formare il nuovo gabinetto. Solo a quel punto il re accetta le dimissioni del precedente governo e nomina il nuovo, che deve ottenere l’approvazione del proprio programma dalla Seconda Camera. Pertanto è possibile che un incarico di formateur conferito a Wilders e risòltosi in un nulla di fatto spinga il re a mantenere in carica il vecchio governo (oppure venga nominato un nuovo formateur) che, a quel punto, si accorderebbe con i partiti di minoranza, escludendo Wilders.
Quello del referendum non è uno strumento pienamente integrato nel sistema istituzionale olandese, viene raramente usato e la procedura per indirlo è articolata: in passato esso è stato invocato specialmente in riferimento a nuove leggi o a cambiamenti dei trattati comunitari (come ad esempio quello dell’aprile 2016 sull’associazione dell’Ucraina alla Ue). Questo significa che Wilders avrebbe bisogno di una maggioranza parlamentare piena per promulgare una legge che indice il referendum sulla Ue. Inoltre, una volta passata alla Camera Bassa, la legge dovrebbe poi passare al Senato, ma attualmente il Senato (in carica fino al 2019) ha i numeri per rifiutarne l’approvazione.
Per ora il mercato non sembra temere troppo le elezioni olandesi: lo spread vs Bund è aumentato da 9 a 18pb da metà gennaio, ma livelli anche superiori si erano registrati nel secondo trimestre 2016 e a inizio 2015. Tale tranquillità è giustificata. In entrambi gli scenari, il pericolo i Paesi Bassi possano avviare la procedura di uscita dall’Ue sarebbe disinnescato. Sulla base del quadro informativo ad oggi disponibile, un impatto sistemico sull’Europa e sull’euro delle elezioni olandesi è uno scenario molto improbabile. Tuttavia, ci aspettiamo che dopo le elezioni il Paese rimanga in una situazione di limbo, che si concluderà con la formazione di un governo fragile. Una situazione che potrebbe rendere il Pvv un contendente ancora più temibile fra qualche anno, se la coalizione di governo non troverà il modo di formulare una proposta politica convincente.