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Mps, Bper, Ubi. Quanto soffrono le banche per le sofferenze secondo Credit Suisse

mps marco morelli

Le banche italiane hanno guadagnato il 14% in Borsa da inizio anno fino a fine febbraio e trattano in linea con le omologhe europee su basi relative. Ma non basta: la loro bestia nera è ancora forte e si chiama Non performing loan e il piano per liberarsene che devono presentare a fine marzo alla BCE.

“Il gap tra valore di libro e valore di mercato è ancora troppo ampio – scrive Carlo Tommaselli in un report di Credit Suisse – le banche italiane devono presentare alla BCE un piano che la banca può accettare o emendare. Crediamo che nonostante la recente profonda pulizia sperimentata dalle banche italiane la qualità degli asset sia ancora un problema per via della quota rilevante di crediti inesigibili: pari all’11% degli Npe (esposizione dei non performing) netti e al 5% degli Npl (non performing loans) netti; Npl sono le sofferenze vere e proprie e sono una parte degli Npe. Inoltre esiste ancora una forte discrepanza tra valore di libro a cui sono registrati a bilancio gli NPL (42%) e valore di mercato (25%), discrepanza su cui la BCE potrebbe fare pressione”.

Insomma la pulizia per i bilanci delle nostre banche e tutt’altro che conclusa e potrebbero essere necessari, secondo i calcoli della casa d’affari svizzera, 20 miliardi di euro in extra loan loss provvisione, ovvero accantonamenti per prevenire perdite da impieghi e 25 miliardi di capitale fresco per aumentare la copertura sugli NPL fino al livello del prezzo di vendita: un fiume di denaro che si somma ai 20 miliardi del fondo pubblico per i casi a rischio.

Eppure nel quarto trimestre del 2016, la qualità degli asset ha mostrato un trend decente: “la formazione di nuovi crediti inesigibili è stata negativa per il quarto trimestre consecutivo – scrive ancora Tommaselli – confermando il punto di flessione, anche escludendo una vendita straordinaria di un portafoglio di 18 miliardi di bad loan. Che al loro sono diminuiti di 5,6 miliardi rispetto ai -1,7 persi nel terzo trimestre 2016 e ai -4,1 ceduti nell’ultimo trimestre del 2015”. Nel complesso i crediti incagliati sono calati dai 233 miliardi del terzo trimestre 2016 ai 210 di fine anno, -10% che diventa -13% anno su anno.

Anche lo stock di NPE, sempre escludendo il deal da 18 miliardi, si è fermato a 228 miliardi (-2,4% trimestre su trimestre; -5,7% anno su anno). Inoltre la copertura di cassa media per gli NPE è aumentata al 49% dal 47% del terzo trimestre, mentre quella per gli NPL si è ridotta leggermente al 60% dal 61%. Inclusi i collaterali sull’immobiliare, valutati 84,5 miliardi, la copertura totale per le anche italiane è del 91%, in lieve aumento. Ed è addirittura superiore per Unicredit e Intesa (al 94%, con, rispettivamente, il 56% e il 49% in cassa); mentre Ubi e Banco Popolare si piazzano all’85%, entrambe con il 36% in cassa. Bpm ha una copertura totale dell’81% e del 43% in cassa e Bper del 76% con un 45% di cassa. Mps è coperta all’87% con il 56% in cassa.

Migliorato sensibilmente anche il Texas ratio medio – che rapporta i crediti a rischio al patrimonio tangibile della banca e che più è alto più segnala una situazione in cui la banca ha difficoltà a far fronte a eventuali problemi arrivino dalle sofferenze. L’indice è calato dal 117 al 107% da settembre a fine anno e includendo il valore del collaterale in real estate sarebbe di appena il 19%, o meglio al 63% attribuendo al collaterale la metà del suo valore stimato.
Credit Suisse calcola che il miglior Texas ratio lo abbiano Unicredit (51%, o 29% aggiustato includendo il 50% dei collaterali, o 6% con il 100% dei collaterali) e Intesa (76%; 42%; 9%). La situazione peggiore è quella di Banco Popolare (217%; 133%; 49%) che però con la fusione con Bpm ha una situazione molto più felice (160%; 101%; 41%). Mps ha un Texas ratio al 138% (che diventa 89% e 40) e Ubi al 110% (68% e 25%).

Ma tutti questi numeri non salvano nessuno in uno scenario in cui la BCE chiede alle nostre banche di portare gli accantonamenti al valore di vendita degli NPL. “Abbiamo calcolato un deficit di capitale tra i 5 e i 25 miliardi per il requisito di Cet1 all’11%) per portare la copertura per gli NPL rispettivamente al 65% e al 75% dall’attuale 58% e allineare il valore di libro letto a quello lordo al 35% e al 25% rispettivamente – quest’ultimo vicino all’attuale prezzo di mercato degli NPL”. Risultato? Con 10 miliardi l’impatto sul patrimonio tangibile è del 15% e del 42% in caso di 20 miliardi di apporto di capitale nuovo con il Texas ratio medio che rimane fermo al 102% nella prima ipotesi e balza invece al 124% nella seconda. E il Cet1 che cala dall’11,9% al 10,2% e al 6,8% rispettivamente. Un’ipotesi che potrebbe non essere del tutto nei prezzi.



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