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Leonardo-Finmeccanica, consigli non richiesti a Profumo

Di Alessandro Minuto-Rizzo

Per certi versi Leonardo-Finmeccanica può essere considerata la perla del reame; uno dei pochi player nazionali di alto livello in cui coesistono qualità umane e tecnologiche. Però le sue dimensioni rimangono modeste rispetto al “grande gioco”, vale a dire la competizione su scala mondiale. Del resto l’unico gioco possibile, perché il mercato nazionale è insignificante per la sopravvivenza della società. Basterebbe una fusione europea tra BAE e Airbus – è già stata tentata – per metterne in discussione un futuro autonomo. Non basta un rispettabile ottavo posto nel mondo, che la vede comunque a un quinto dei ricavi della Boeing.

E quindi che fare? La priorità data alla riduzione dei costi va confrontata con le aspettative sugli ordini. Si può spendere meno, ma se non si vendono i propri prodotti nel mondo non si va da nessuna parte. E per vendere oggi sul mercato mondiale bisogna essere più che competitivi nella qualità oltre che aggressivi nella strategia. Poi, i giganti mondiali dell’aerospazio sono pochi e bisogna conoscersi bene, anche personalmente, per essere riconosciuti alla pari.

Finmeccanica è internazionale da sempre ma dovrà esserlo ancora di più. Nella distribuzione del personale, nella mentalità, nella scelta dei mercati, nell’investire (verrebbe da dire furiosamente) sui prodotti di maggior successo. Bisogna mettere in campo tutte le risorse possibili. Valorizzare ad esempio la proprietà di DRS Technologies, industria americana di punta nelle tecnologie militari, che non è mai entrata realmente nella strategia industriale complessiva. Certo un osso duro da digerire ma anche un fiore all’occhiello.

Purtroppo, dopo la seconda guerra mondiale nell’industria aeronautica non è rimasto molto; il prodotto autonomo di punta è l’addestratore, già Aermacchi, che coglie molti successi internazionali, ma che non può colmare la differenza con i grandi produttori. In vari settori quali l’aeronautica civile, dove spicca la collaborazione con la Boeing, il futuro rimane aleatorio dipendendo da variabili esterne. Inevitabile quindi dare la priorità nelle risorse ai prodotti più competitivi. Vengono in mente in primo luogo gli elicotteri, dove Agusta-Westland se l’è battuta più o meno alla pari con il gruppo franco-tedesco Eurocopter. Servono nuovi prodotti per vincere le gare in un mercato globale a cui concorrono tutti e che si presenta terribilmente competitivo.

Un altro settore di riguardo è quello spaziale, per cui il Paese dispone anche di un’agenzia nazionale, l’Asi, di alto livello. L’Italia ha ottime tradizioni nello spazio che non sono state ben valorizzate sul piano negoziale internazionale. Lo vediamo rispetto alla francese Thales nel cui perimetro rimaniamo soffocati. Lo spazio è ancora per tanti versi un libro aperto in cui non conta solo il lato scientifico. Il controllo del vettore Vega, interamente italiano, sembrerebbe un dato fisiologico per Leonardo, e non una partecipazione di minoranza. Si tratta dell’unico lanciatore europeo capace di mandare nello spazio piccoli satelliti, un mercato in espansione da cui si possono avere anche soddisfazioni di orgoglio nazionale. La Francia lo fa da decenni con Ariane sui grandi satelliti.

Questo porta il discorso sulla capacità di visione strategica, da rafforzare in tutte le direzioni, vista la difficoltà delle scelte da fare e la complessità dello scenario mondiale. Forse il passo è prima culturale che amministrativo. L’azienda è un buono specchio dell’Italia, nei suoi pregi e nei suoi difetti, ma può vivere di vita autonoma solo nel mondo, da cui viene più del 90 per cento del suo fatturato. Ma che dire del mercato? In Europa non si vedono all’orizzonte grandi programmi – del tipo Eurofighter – e la riduzione dei bilanci della difesa certo non aiuta. Si parla spesso di progetti a valere sui fondi dell’Unione europea, però si tratta di valori modesti a cui forse si dà un’attenzione eccessiva.

In realtà il mercato di gran lunga più ricco per l’industria della difesa si trova in Asia, dove i bilanci crescono ovunque a due cifre, anno dopo anno. Nella lotta per la sopravvivenza, che sarà la caratteristica dei prossimi anni, credo sia essenziale dare a quei grandi mercati particolare attenzione. C’è da domandarsi se non sarebbe coraggioso e utile collocare dalle parti di Singapore una forte struttura di “business development” e relazioni istituzionali-industriali per trovare un ancoraggio in quell’area che ormai è diventata centrale.

Se poi guardiamo al principale attore esistente, sappiamo che l’amministrazione americana vuole sviluppare il “terzo offset”, acronimo che si traduce in un programma militare e industriale a largo raggio, che assicuri la completa supremazia degli Stati Uniti. Bisognerebbe cercare di esservi associati, come alleato di primo piano, per essere al riparo da sorprese. Poche righe ispirate dall’esperienza, con l’augurio che l’azienda sappia riunire tutta l’energia e la determinazione necessarie in un mondo in rapido cambiamento.



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