Risultato finale apertissimo, crescita dei movimenti populisti ed euroscettici, tensioni con la vicina Turchia, accusata di interferire col processo elettorale. In Bulgaria, la campagna per le elezioni politiche anticipate del 26 marzo è terminata: domenica gli elettori saranno chiamati a scegliere tra i candidati proposti da 13 partiti, 9 coalizioni e 21 comitati d’iniziativa popolare.
Al nuovo voto anticipato, ormai elemento ricorrente del ciclo politico bulgaro, si è arrivati dopo la pesante sconfitta subita alle presidenziali dello scorso novembre dal partito dall’allora premier Boyko Borisov, leader del movimento di centro-destra Gerb (Cittadini per uno sviluppo europeo della Bulgaria).
Dopo la larga vittoria dell’ex generale e comandante dell’aviazione militare Rumen Radev, lanciato dall’opposizione socialista, Borisov ha deciso di mettere fine anticipatamente al suo secondo mandato, come già avvenuto col suo primo esecutivo nel 2013.
RIMONTA SOCIALISTA?
Non è ancora chiaro, però, se la decisione di staccare la spina e presentarsi agli elettori dopo la parentesi del governo di garanzia guidato dal giurista Ognyan Gerdzhikov si rivelerà vincente. Gli ultimi sondaggi danno Gerb e il partito socialista (Bsp) – per la prima volta guidato da una donna, Korneliya Ninova – appaiati intorno al 27-30% dei consensi.
Per Gerb, il risultato rappresenterebbe una sostanziale tenuta, ma per il Bsp segnerebbe il raddoppio dei consensi (nel 2014 il partito si era fermato al 15,4%). Una crescita probabilmente segnata più dalla stanchezza dell’elettorato nei confronti di Borisov che dalla forza e credibilità delle promesse elettorali della Ninova, le quali ruotano intorno all’impegno di aumentare pensioni e stipendi, introdurre alcune misure protezionistiche e rilanciare i rapporti con Mosca facendo lobby contro le sanzioni anti-russe.
A meno di sorprese dell’ultima ora, e visto il relativo equivalersi delle forze in campo (in Bulgaria si vota con un sistema proporzionale, accompagnato da una quota maggioritaria) la vera questione riguarda la capacità dei principali contendenti di formare coalizioni di governo.
Al ruolo di ago della bilancia ambiscono anzitutto i Patrioti uniti, formazione che riunisce i tre principali movimenti nazionalisti ed euroscettici: la Vmro, il Fronte nazionale per la salvezza della Bulgaria e i filo-russi di “Ataka”. Con un risultato previsto al 10% dei voti, stavolta i nazionalisti – dopo aver già sostenuto in passato vari esecutivi, ma sempre dall’esterno – si candidano quindi al ruolo di partner di governo a tutti gli effetti.
A rafforzare le loro posizioni è il dibattito arroventato su migranti e rifugiati, che nelle settimane della campagna elettorale ha portato a diversi episodi di xenofobia e intolleranza. Frontiera esterna dell’Unione europea, Ue la Bulgaria teme di dover sostenere le conseguenze di una possibile riapertura della rotta balcanica, soprattutto visti i timori di un possibile cedimento degli accordi tra Ue e Turchia (che l’avevano chiusa nel marzo 2016), oggi ostaggio dello scontro frontale in corso tra Ankara e il blocco europeo.
TURCHIA ACCUSATA DI INGERENZA
Come se non bastasse, il governo turco è stato apertamente accusato da Sofia di ingerenza nella campagna elettorale, attraverso la propria influenza sulla numerosa minoranza turca (attorno al 10% della popolazione) presente nel Paese. Dall’introduzione del sistema democratico, il voto dei turchi di Bulgaria è stato monopolizzato dal Movimento per i diritti e le libertà (Dps), partito più volte al governo, dominato dal suo primo segretario Ahmet Dogan e criticato da più fronti per la sua gestione opaca ed oligarchica del potere.
In questa tornata elettorale, però, per la prima volta il Dps sembra avere un serio concorrente nel movimento Dost, creato dall’ex leader del Dps Lyutvi Mestan, espulso rocambolescamente da Dogan a inizio 2016. Nonostante le smentite di Mestan, Dost sembra avere fortissime entrature alla corte del presidente turco Recep Tayyp Erdogan, e il governo di Ankara ha messo il proprio peso al servizio del nuovo partito, facendo opera di convincimento soprattutto all’interno della numerosa comunità di turchi di Bulgaria che vivono in Turchia.
Un atteggiamento che ha provocato la reazione stizzita del governo bulgaro, che nelle settimane scorse ha convocato l’ambasciatore turco a Sofia e ha accusato Ankara di interferenza negli affari interni del Paese. Sono seguite teatrali proteste dei partiti nazionalisti, che nei giorni scorsi hanno bloccato la frontiera bulgaro-turca. Obiettivo dichiarato, impedire il tradizionale “turismo elettorale” con cui una parte dei cittadini turco-bulgari residenti in Turchia torna – spesso in forma organizzata e gestita dai partiti della minoranza – nei propri luoghi d’origine per recarsi alle urne.
Secondo i sondaggi, il Dps (che oggi insiste sul suo ruolo “patriottico” contro le influenze di Ankara), dovrebbe comunque superare la soglia di sbarramento del 4%. I risultati di Dost sono invece più difficili da prevedere, e dipenderanno in misura importante dal voto nelle sezioni istituite in Turchia.
IL TRUMP DI SOFIA
Immancabile, come in tutte le tornate elettorali degli ultimi anni, l’elemento più marcatamente populista, che stavolta vede protagonista il discusso businessman Veselin Mareshki, già ribattezzato dal New York Times “il Donald Trump di Bulgaria”, e in grado di raccogliere l’11% dei voti nelle recenti presidenziali.
Col suo movimento “Volontà”, Mareshki punta a ritagliarsi un ruolo importante come potenziale partner di minoranza di un prossimo esecutivo (viene dato al 5-6%). Dopo aver costruito un impero con una catena di farmacie – che spesso offrono medicinali a prezzi più convenienti della concorrenza –, Mareshki ha lanciato una sua battaglia personale contro i “cartelli che dominano l’economia bulgara”.
Per dimostrare di fare sul serio, dieci giorni prima delle elezioni, Mareshki ha aperto a Sofia uno dei più grandi distributori di carburante al mondo, con prezzi ribassati di circa dieci centesimi di euro al litro. “Sofia, congratulazioni, oggi sei stata liberata!”, ha esclamato Mareshki all’apertura: la sua speranza è che il motto “Io non prometto, realizzo”, possa conquistare il cuore e il portafogli di molti cittadini bulgari, tanto come clienti quanto come elettori.
Questo articolo è frutto di una collaborazione editoriale tra l’Istituto Affari Internazionali e Osservatorio Balcani e Caucaso.
Francesco Martino, Laurea in Scienze della comunicazione presso l’Università degli Studi di Trieste, ha lavorato nella cooperazione internazionale in Kosovo prima di dedicarsi al giornalismo. Dal 2005 vive e lavora a Sofia, da dove ha collaborato con varie testate italiane e internazionali. Giornalista professionista lavora a Osservatorio Balcani e Caucaso dal 2006.