Quest’anno non c’è solo l’anniversario dei Trattati di Roma, delle apparizioni di Fatima e della Rivoluzione d’Ottobre. C’è pure, ahimè, il quarantennale del 1977, l’anno che ha visto esplodere la follia terrorista che ha lasciato dietro di sé lutti e dolori per tanti, da una parte e dall’altra della barricata. Una follia a causa della quale tantissime persone (un morto ogni quattro giorni) – onesti cittadini, servitori dello stato, giornalisti, magistrati, operai, ecc. – furono barbaramente ammazzate, accomunate dall’esser divenute bersaglio della furia omicida di coloro che volevano fare la rivoluzione a colpi di P38, seminando morte e terrore ovunque. Sappiamo che la storia è andata diversamente. E almeno di una cosa possiamo essere certi: il terrorismo in Italia ha perso. Punto e a capo. Non bastassero i lutti e le tragedie di intere famiglie sfigurate dal furore ideologico di quegli anni, trovo semplicemente grottesco che i cattivi maestri di allora (per la cronaca ancora dieci anni fa Oreste Scalzone andava delirando frasi tipo “se dovessi esserci un’insurrezione, essendo un rivoluzionario, starei sulle barricate dove si spara”, chapeau), se ne vadano in giro per l’Italia a promuovere i loro libercoli, in alcuni casi addirittura definendo – come fa Toni Negri – la violenza di quell’orribile stagione un “momento di estrema ricchezza”. Ma trovo ancor più urticante il fatto che ci sia qualcuno che li faccia accomodare sotto i riflettori, che dia loro spazio sui giornali o altrove. Non è una novità, d’accordo. Lo sappiamo che in Italia il terrorismo ha sempre trovato ospitalità. Era così durante gli anni di piombo, quando le redazioni dei giornali (tanto per fare un esempio) erano piene di eskimi e di penne che facevano l’occhiolino ai rivoluzionari nostrani. Per non parlare, spostandoci appena oltre confine, delle reazioni di certa stampa e sedicente mondo intelletuale francese, a suo tempo inorriditi dalla richiesta di estradizione per Cesare Battisti. Il punto non è, ovviamente, il diritto di ciascuno a rifarsi una vita dopo aver saldato i conti con la giustizia. Il punto è la protervia di chi pensa di essere ancora nel giusto nonostante quell’ideologia rivoluzionaria sia miseramente fallita. Tra l’altro, anche sul fronte della giustizia ci sono ancora tanti conti aperti che andrebbero chiusi, con buona pace delle prescrizioni e dei trattati sull’estradizione. Un Wiesenthal italiano, ecco cosa ci vorrebbe. Perchè per quanto mi riguarda non c’è nessuna differenza tra uccidere civili inermi in tempo di pace e, per esempio, rastrellare e uccidere prigionieri in tempo di guerra. Nè mi risulta che a proposito di Wiesenthal qualcuno ebbe da ridire. Avessimo un sussulto di dignità, sarebbe forse il modo migliore, anche a quattro decenni di distanza, per onorare tutte le vittime del terrorismo.
1977-2017, cattivi maestri ancora in cattedra
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