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Marianna Madia, Roberto Perotti, i tecnici e i politici

Lotti Madia

Documenti alla mano, in un equilibrato articolo su Repubblica, Roberto Perotti ha ieri ridimensionato alquanto l’accusa di plagio nei confronti del ministro della pubblica amministrazione Marianna Madia. La vicenda, che come è moto concerne la tesi di dottorato del ministro, era stata sollevata dal Fatto e ripresa da altri organi di informazione.

Perotti, pur discolpando molto il ministro, non può però fare a meno di chiedersi, alla fine del suo intervento, il perché di tanta acredine nei suoi confronti, da parte dei giornalisti ma anche dell’opinione pubblica. “Parlate con la gente, ed emergerà – scrive – una diffusissima indignazione per quella che è percepita come una carriera fulminea senza alcun apparente merito o competenza specifica”. Ecco, il problema per Perotti, sta qui. D’altronde, continua, aveva cominciato Berlusconi a proporre il modello del politico di bella presenza che, con la sua immagine, “infiocchettava l’aria fritta” delle sue proposte e azioni politiche. Un modello fallimentare, egli osserva, che non si capisce perché ora anche il Pd “scimmiotti”.

Messo così, quello di Perotti sembrerebbe un ragionamento che non fa una grinza, una condivisibile critica del modello di politica dominante. Chi potrebbe non accettarlo? Eppure, come suol dirsi, è nel dettaglio che si nasconde il diavolo. Perché mai il politico dovrebbe avere un “merito o competenza specifica”, cioè le qualità di un tecnico? Che senso avrebbe la politica se si riducesse a questo?

Molti grandi politici del passato hanno spesso dato prova delle loro capacità in età giovanile, quando, anche se avessero voluto, non avevano nemmeno avuto il tempo di conquistarsi una competenza specifica. Certo, il più delle volte erano giovani che avevano frequentato buone scuole, acquisito una solida cultura classica e umanistica. La quale che proprio a questo dovrebbe servire: a dare una visione, a far connettere idee e saperi disarticolati (prima e oltre di ogni auspicabile specializzazione), ad articolare un ragionamento e un discorso.

La fine dei sistemi ideologici è un bene, ma anche la politica ha bisogno di quella sistematicità di azione e di quella visione che in questo momento non è più facile da riscontrare. Quel che qui si vuole dire è che la competenza non fa una buona politica e che, nei posti chiave della politica, sarebbe da preferire chi è fuori dalle corporazioni e dai gruppi di potere che la competenza organizzata genera. Un rettore a capo del ministero dell’Università, un medico a capo di quello della Sanità, un magistrato al Ministero della giustizia, un funzionario pubblico al posto della Madia, non favorirebbero le cordate di appartenenza piuttosto che essere nella misura del possibile imparziali e super partes? Non asseconderebbero, per preservare il loro potere, lo status quo. Anche quando è giunto il momento di di cambiare. Quella “meravigliosa inesperienza” che “offende” gli italiani e anche Perotti non è forse anche una garanzia?

Puntare sui giovani, di bella o brutta presenza, ha anche questo valore, da non sottovalutare: di metterli alla prova e immettere nuove energie nella società. Non voglio però nascondermi dietro un dito, e dire che va tutto bene. Anzi. L’impressione è che ministri giovani e di bella presenza come Madia e Boschi, per fare solo due nomi, siano state messe lì non solo perché qualcuno ha puntato su di loro, o perché loro stessi si siano fatte largo nell’agone politico, non perché rappresentanti di un’idea forte, ma semplicemente perché fedeli a qualcuno. E questo qualcuno probabilmente ad altro se non a questa “fedeltà” era interessato, sempre pronto a sacrificare il protetto se la sola logica dell’appartenenza lo richiede. A prescindere da ogni altra considerazione.

Una politica che punta sulla fedeltà fine a se stessa, senza un progetto o una visione, non può che ridursi a mera tattica e inconcludenza. Non può cioè portare altrove che in quel cul de sac ove staziona oggi la politica italiana, E a ben vedere è in questo preciso punto che si situa la “crisi della politica”, non nella sua incapacità di saper selezionare quelle competenze specifiche che al politico non sono richieste e che non sarebbero nemmeno in lui auspicabili.

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