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Quanto Ratzinger c’era nel discorso di Papa Francesco al Cairo?

Papa Francesco

Terrorismo, dialogo con l’islam ed ecumenismo sono i temi principali del viaggio di Papa Francesco in Egitto. Che venerdì all’università di al-Azhar ha pronunciato una sorta di suo personale “discorso di Ratisbona”, richiamando i leader religiosi alla comune responsabilità “a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità”.

BENEDETTO SULLO SFONDO?

Nei tre interventi pronunciati nella giornata al Cairo, Francesco ha citato solo una volta Benedetto XVI. Lo ha fatto incontrando le autorità, riferendosi alle differenti comunità cristiane che abitano il Paese, “presenza storica e inseparabile dalla storia dell’Egitto”. Citazione in nota. Non ha fatto il nome del Papa emerito. E non poteva essere altrimenti, per la frattura che le parole di Benedetto a Ratisbona nel 2006 avevano aperto con il Cairo. Eppure poco prima, parlando ai rappresentanti di diverse fedi ospiti della Conferenza internazionale sulla pace, organizzato dall’università di al-Azhar, davanti al grande oppositore di Ratzinger, lo sceicco Ahmed al-Tayeb, in un potente intervento ha ripreso il ragionamento del discorso del 2006 del predecessore. Ha detto di “autentica apertura all’Assoluto”, che riecheggia il benedettino “coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione” che non esclude ma spalanca al trascendente. Ha scandito: “La violenza è la negazione di ogni autentica religiosità”. Ha insistito sull’urgenza di condannare “ogni forma di odio in nome della religione”, “falsificazione idolatrica di Dio”, perché “solo la pace è santa e nessuna violenza può essere perpetrata in nome di Dio, perché profanerebbe il suo Nome”. Aveva detto Ratzinger undici anni fa che “la violenza è in contrasto con la natura di Dio” e dell’inaccettabile “conversione mediante la violenza” come “un non agire secondo ragione che è contrario alla natura di Dio”. E lo aveva detto nel passaggio più esplosivo del suo intervento, con la citazione di quel dialogo tra Manuele II e il suo interlocutore persiano che tante critiche aveva attirato. Francesco oggi ricorda ai leader religiosi e musulmani la necessità di superare “la tentazione di irrigidirsi e chiudersi”, di una “sapienza aperta e in movimento, umile e indagatrice al tempo stesso” che “sa valorizzare il passato e metterlo in dialogo con il presente senza rinunciare ad un’adeguata ermeneutica”. Che è ancora un altro succo del discorso benedettino su fede e ragione.

LA STRUMENTALIZZAZIONE POLITICA DELLA RELIGIONE

Un’altra eco del discorso del predecessore, si può forse cogliere nel passaggio che Francesco ha dedicato alla necessità di distinguere nettamente religione e politica. “Un paradosso”, ha esclamato: “Mentre da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società; dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere, la sfera religiosa e quella politica”. Il rischio è che “la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano. Al contrario, per “imparare a costruire la città degli uomini”, occorre “elevare l’animo verso l’Alto”. Declinava Ratzinger a Ratisbona: “Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”.

NO AI POPULISMI

Il discorso di Francesco all’università di al-Azhar ad un certo punto è sembrato rivolgersi in particolare all’Occidente. Senza mai citare nessuna situazione, il Papa ha osservato: “Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità”. Quindi il rifiuto netto a scendere sul campo dello scontro di civiltà: “Nessun incitamento violento garantirà la pace, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza”. E l’affondo: “A poco o nulla serve alzare la voce e correre a riarmarsi per proteggersi: oggi c’è bisogno di costruttori di pace, non di armi”. Nella lotta al terrorismo e alla violenza “la religione non è certo solo chiamata a smascherare il male; ha in sé la vocazione a promuovere la pace, oggi come probabilmente mai prima”.

FORTE ACCENTO SUI DIRITTI UMANI

Non sappiamo se il Papa abbia parlato nel colloquio privato con il presidente al-Sisi dell’appello dei genitori di Giulio Regeni, il giovane ricercatore ucciso al Cairo. Ma pubblicamente, alle autorità politiche e religiose, in più occasioni Francesco ha insistito sulla necessità del riconoscimento dei “diritti e delle libertà fondamentali”, come via per essere costruttori di civiltà. Ad al-Azhar ha chiamato i responsabili religiosi “a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani”. Al generale al-Sisi e ai membri del Parlamento egiziano ha “letto” la loro Costituzione, quando ha ammonito al “rispetto incondizionato dei diritti inalienabili dell’uomo, quali l’uguaglianza tra tutti i cittadini, la libertà religiosa e di espressione, senza distinzione alcuna” e richiamato ad una “speciale attenzione al ruolo della donna, dei giovani, dei più poveri e dei malati”. La grandezza di qualsiasi nazione – ha aggiunto – si rivela nella cura che essa dedica realmente ai più deboli della società. Citando, tra questi, “le minoranze”.

“SCONTRO” A DISTANZA TRA IMAM

Accogliendo il Papa nell’università di al-Azhar, letteralmente “la splendente”, l’imam al-Tayyeb ha insistito sul fatto che l’islam in sé non è la colpa per le atrocità effettuate in suo nome: l’Islam non è una religione del terrorismo solo per un gruppo di seguaci che ne manipolano i testi sacri, così come il cristianesimo non è una religione del terrorismo perché alcuni hanno ucciso nel nome della croce; così l’ebraismo non è una religione del terrorismo solo perché un gruppo di suoi seguaci ha interpretato gli insegnamenti di Mosè occupando terre e provocando vittime nel popolo palestinese. Parole che hanno provocato un forte applauso in sala, ma non in Italia. “Poteva evitarlo”, ha detto l’imam Yahya Sergio Pallavicini, presidente del Coreis (Comunità religiosa islamica italiana) intervenendo a Tv2000: “Ho colto nel discorso del Grande Imam delle ombre. Il riferimento che avrebbe potuto evitare è agli ebrei, che andavano considerati solo come fratelli senza fare distinzioni politiche tra ebrei che invadono la terra di altri”. “È stato inopportuno”, ha affermato, rilevando “un’asimmetria” tra il discorso del Papa – a suo giudizio dallo sguardo universale e da autorità spirituale – e quello di al-Tayyeb, più politico e rivolto al mondo arabo: “Il grande imam nella veste di autorità religiosa non avrebbe dovuto parlare esprimendo un’opinione personale, nazionale o patriottica”. Del resto il capo di al al-Azhar, ha idee precise su Israele. Una volta disse che “la soluzione al terrore israeliano risiede nella proliferazione degli attacchi suicidi che diffondono terrore nel cuore dei nemici di Allah” e che “i paesi, governanti e sovrani islamici devono sostenere questi attacchi di martirio”. E alla Conferenza sulla pace da lui organizzata al Cairo, con imam e sciamani, rabbini e vescovi cristiani, sono stati invitati ebrei dal Medio Oriente ma non da Israele.

L’ABBRACCIO TRA PIETRO, MARCO E ANDREA

Nel tardo pomeriggio della giornata egiziana di Francesco, successore di Pietro, l’abbraccio con il patriarca copto Tawadros II, successore dell’apostolo Marco, e il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, successore dell’apostolo Andrea. Nella Chiesa di San Pietro del Cairo, presenti leader di altre confessioni cristiane, si è svolto un momento di preghiera ecumenica: scambio di pace e recita del Padre Nostro tra fratelli. Francesco ha ricordato come “la maturazione del nostro cammino ecumenico è sostenuta, in modo misterioso e quanto mai attuale, anche da un vero e proprio ecumenismo del sangue”. Ha detto di “un unico martirologio” e, riferendosi al sangue versato anche recentemente da fedeli inermi, ha riconosciuto: “Le vostre sofferenze sono anche le nostre sofferenze, il loro sangue innocente ci unisce”. Ad oltre quarant’anni dalla Dichiarazione comune firmata da Paolo VI e il patriarca copto Amba Shenouda III, un nuovo documento è stato sottoscritto dai responsabili della Chiesa cattolica e di quella egiziana. Un cammino comune che per Francesco non è solo “fatto di gesti, parole e impegno”. C’è – ha sottolineato – “una comunione già effettiva, che cresce ogni giorno nel rapporto vivo con il Signore Gesù, si radica nella fede professata e si fonda realmente sul nostro Battesimo”.


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