Neanche i recenti attentati alle chiese, né le violenze ricorrenti contro la minoranza cristiana copta gli hanno fatto cambiare idea: da ieri Papa Francesco è “pellegrino di pace” per due giorni in Egitto. Senza auto blindata e senza pretese, se non quella di far sapere a tutti che un altro mondo è possibile. A costo di sembrare un sognatore della fede, nell’era in cui i muri hanno preso il sopravvento sui ponti. Al prezzo di apparire un profeta senza patria, nell’epoca delle nazioni che pensano a come difendere i propri confini dall’assalto di emigranti armati solo di fame e disperazione. Al rischio dell’impopolarità, perché l’universo sta andando dalla parte opposta. Va nella drammatica direzione in cui lo porta il terrorismo di matrice islamica, che semina odio e morte. Va verso il minaccioso braccio di ferro atomico fra l’americano Trump e il coreano Kim Jong-un. Naufraga, questo mondo, nella Siria che da sei anni bagna di sangue il Medioriente.
L’innegabile e tragica realtà potrebbe indurci a credere che il Papa rischi di essere percepito, specie nell’Egitto della contrapposizione, come l’uomo sbagliato nel momento sbagliato: parlare di pace, mentre il pianeta si nutre di violenza? Immaginare di poter dialogare con l’Islam, proprio negli anni della massima e universale diffidenza verso quella religione? Evocare l’accoglienza, quando la sicurezza vacilla nel Mediterraneo e i barconi della speranza per chi parte diventano barconi della paura per chi riceve?
Francesco va controcorrente rispetto a gran parte della politica e a un crescente comune sentire di cittadini che non si fidano più. Che non coltivano fiducia nel futuro e negli altri. Che sono scottati dall’insipienza e dall’insensibilità delle loro classi dirigenti nel risolvere i problemi: e perciò protestano ovunque, anche col voto.
Ma proprio in questo deserto di paura e pregiudizio è importante che qualcuno accenda un faro e incarni un esempio: viaggiare a testa alta e senza protezioni. Sfidare i violenti invocando la bellezza dell’incontro. Ricordare che siamo tutti figli di incroci, che il Sud del mondo è un punto di vista: sempre qualcuno avrà bisogno, sempre saremo chiamati ad aiutarlo. Col suo viaggio in tutti i sensi temerario, il Papa d’Egitto indica l’unica strada possibile per l’umanità, non appena essa sarà tornata libera, nella testa e nel cuore, di percorrerla con serenità.
(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)