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Cosa c’è nel dossier indiano di Donald Trump

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Una delle questioni meno dibattute in politica estera (almeno alle nostre latitudini) è sicuramente la tensione India-Pakistan. L’assenza di dibattito e proposte di soluzioni per una crisi che si trascina dalla fondazione dei due Paesi, è davvero scoraggiante.

Nuova Delhi e Islamabad sono nuovamente ai ferri corti per la condanna a morte di Kulbhushan Jadhav, ex ufficiale della marina militare indiana arrestato in Pakistan lo scorso anno. Intanto Nuova Delhi nega risolutamente che si tratti di una sua spia.

SOVRANISMO IN SALSA INDIANA

Il governo di Narendra Modi potrebbe essere definito un misto di varie tendenze che in Occidente si presentano come alternative e che nell’alambicco indiano si prestano a combinazioni strategiche fantasiose. Si potrebbe allora parlare del paradosso di un sovranismo liberista, dove privatizzazioni e sostegno della classe media in ascesa vengono dosate con chiusure nazionaliste, retorica bellica e mantenimento del profilo non-allineato in campo internazionale, residuo del vecchio antiamericanismo dei gruppi statalisti che negli anni Cinquanta fondarono le basi dello Stato.

UNA FORZA IN DIVENIRE

L’involucro nazionalpopulista si attaglia comunque ad una grande potenza che la geografia ha posto a cavaliere di un’area fondamentale per gli equilibri mondiali, l’Oceano Indiano e le rotte che lo attraversano dai porti petroliferi del Golfo alle locomotive industriali dell’Est asiatico. Ha la forza di parlare, e di far pesare anche solo con il silenzio la sua presenza su tutti gli scacchieri dalla Siria alla Corea del Nord. Ad accorgersene è innanzitutto, e non da oggi, l’America. Sia in campo economico, con gli accordi energetici e nucleari del 2005-2008, sia in campo militare, laddove l’amministrazione Trump, alla ricerca di partner forti in campo asiatico, sembra intenzionata a proseguire l’avvicinamento con Nuova Delhi.

VERSO UN ASSE INDIA-USA

Pochi giorni fa il Consigliere alla sicurezza nazionale H.R. McMaster ha fatto la prima visita diplomatica (fuori da scenari di guerra come Iraq e Afghanistan) proprio in India, incontrando Modi e sottolineando l’importanza dei rapporti bilaterali. A maggio, ancora sotto l’amministrazione Obama, il Congresso ha approvato l’equiparazione dell’India ai partner Nato per quanto riguarda il trasferimento di prodotti e tecnologie militari. A febbraio e marzo, delegazioni di congressisti USA si sono alternate nella visita al subcontinente.

NATO ED EUROPA POSSONO DIRE LA LORO

Insomma, sullo sfondo delle sfide in Afghanistan, del “containment inclusivo” alla Cina e della gestione delle crisi mediorientali legate al conflitto iraniano-saudita, ci sono tutti gli ingredienti per una forte collaborazione, se non proprio un asse indo-statunitense, nel prossimo futuro, anche dal punto di vista delle personalità apicali: due presidenti attenti alle ragioni del business e dei militari, con una forte vena mediatica e un profilo (studiatamente) anti-establishment.

È tuttavia evidente che le dimensioni crescenti della potenza indiana, associate al suo status nucleare, potrebbero richiedere uno sforzo aggiuntivo, ovvero la cooperazione euro-americana sotto l’ombrello Nato, al fine di coordinare le linee verso l’India ed impedire una competizione giocata sulla vecchia trama imperialistica. Gli spunti di sicurezza globale presenti nel Concetto di Lisbona del 2010 avevano un forte segno in questo senso, e d’altra parte se la Russia dovesse alzare troppo la posta per la collaborazione strategica con l’Occidente, l’India diverrebbe un candidato preferenziale.



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