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Costo del lavoro, una palla di granito al piede per l’economia

scuola

Stupisce, anche oggi, faccia notizia che ci si lamenti del costo del lavoro. Da troppi anni sappiamo bene che poco meno della metà è il peso del cosiddetto “cuneo fiscale e contributivo” in media. La differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta del lavoratore, infatti, è pari in media al 46,2%, perché i contributi sociali dei datori di lavoro ammontano al 25,6% e il restante 20,6% è a carico dei lavoratori.

Stando agli ultimi dati aggiornati il valore medio del costo del lavoro è altissimo nell’anno, mentre la retribuzione netta che rimane a disposizione del lavoratore è poco più della metà e questo ovviamente influisce sui consumi e sulla ripresa. Tutto il resto è assorbito dal famoso cuneo, ossia la somma dell’imposta personale sul reddito da lavoro dipendente, dei contributi sociali del lavoratore e dei contributi posti a carico del datore di lavoro, corrispondente appunto al 46,2% del costo del lavoro con una contrazione della retribuzione netta per i lavoratori e le lavoratrici sistematica.

Analizzando i diversi settori, i valori più bassi si registrano sempre per l’agricoltura. Mentre, la quota più alta, pari ad oltre la metà del costo del lavoro, si rileva per i dipendenti del comparto attività finanziarie e assicurative. I vari governi hanno annunciato più volte di voler intervenire proprio per ridurre il peso di questo cuneo ma neanche nella legge di bilancio e nella manovra che si attende per rispondere all’Europa rispetto al nostro deficit ci saranno risorse per finanziare la riduzione della pressione fiscale tanto meno sul lavoro in maniera selettiva.

Forse la riduzione dei contributi Inail, un intervento sull’Irap e la diminuzione dei contributi per le nuove assunzioni, che non siano rivolte solo ai giovani ma anche agli over 30, sarebbe la strada da seguire. Va ricordato che la riduzione del cuneo contributivo per tutti i lavoratori dipendenti privati, indipendentemente dal reddito (11,7 milioni nel 2015 quelli a tempo indeterminato), costerebbe circa 2,5 miliardi l’anno per ogni punto di taglio.

Il costo del lavoro in Italia è troppo alto e i risultati in termini occupazionali che sono arrivati con il Jobs act hanno confermato, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che è proprio lì che bisogna intervenire. Ma solo una riforma strutturale del sistema pensionistico, sanitario e sociale, porterebbe ad una costo del lavoro meno pesante che rappresenta una palla di granito sia per le imprese che per le risorse umane.


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