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Perché risorge la paura di una guerra nucleare

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Sembrava in disuso, ma da almeno una settimana c’è una parola che rivive di cupa luce propria: “Nucleare”. Si allude alla minaccia che la Corea del Nord continua a rivolgere nei confronti dell’America. Venti di guerra sull’onda del sanguinoso conflitto che scuote la Siria da sei anni. Ma, al di là dei proclami del regime di Pyongyang e delle sue marce militari a passo d’oca che odorano di preistoria, è la prima volta dopo gli anni della Guerra Fredda e la lunga era della dissuasione sul “primo colpo” tra potenze egualmente armate di bombe atomiche, che questo nuovo incubo s’aggira per il mondo. Pareva relegato alle tristi cerimonie con cui, ogni anno, le autorità di Hiroshima e Nagasaki suonano campane di pace e invitano chi li aveva bombardati per invocare il “mai più” di un attacco nucleare da parte di chiunque.

Fu l’ultimo, drammatico atto della seconda guerra mondiale, quando ordigni battezzati addirittura con nomi affettuosi furono sganciati dagli Usa sul resistente Giappone il 6 agosto 1945 sulla prima città e tre giorni dopo sulla seconda, devastandole. “Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta sì: con bastoni e pietre”, era la celebre riflessione del grande fisico Einstein, frutto dell’orribile lezione della storia e del rischio che i contemporanei la dimenticassero.

Intere generazioni sono perciò cresciute sull’idea che le guerre non risolvano, ma aggravino i conflitti, come Papa Francesco ha ricordato anche in una Pasqua di preoccupazioni. Ma tutti soprattutto sappiamo che un attacco nucleare va considerato alla stregua di un tabù: guai a chi osasse infrangerlo, ripresentandoci la follia atomica.
Per abitudine consolidata, dunque, avevamo relegato il tema alla storiografia e alla fantascienza del cinema: qualcosa su cui mai cessare di riflettere, certo, facendo purtroppo parte della storia dell’umanità. Ma un crimine non riproponibile, un’opzione senza vincitori né vinti, un’ipotesi aberrante senza ritorno.

Invece l’atomica non sembra più un reperto archeologico. Quell’equilibrio delle paure che ha indotto le principali potenze e non scherzare col fuoco del nucleare, è oggi in pericolo. Un pericolo per ora solo verbale. Ma anche le parole possono essere “pietre e bastoni”. Anche il lessico può assuefarci a un evento che fino a ieri sembrava impensabile: che qualcuno ricorre al nucleare per regolare i suoi macabri conti.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

 

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