Dobbiamo uscire dalla logica del “o democrazia o nulla”. C’è vita, infatti, oltre a quella che noi consideriamo la “soluzione finale” della democrazia-modello; c’è vita in ciascuno di noi e nei popoli che evolvono. Non possiamo più permetterci il lusso di sacrificare i processi storici vitali alle esigenze della nostra “ragione razionalizzante”.
Il nostro lavoro principale sembra essere quello di costruire certezze che ci diano la tranquillità di essere sicuri. Intanto, però, dentro e intorno a noi non smette di battere il cuore pulsante dell’incertezza; se non usciamo dall’illusione di essere la Verità della Realtà, non dovremo fare molta strada per cancellare ogni possibilità di sopravvivenza del genere umano sul pianeta.
Rispetto alla democrazia, la visione necessaria è, allo stesso tempo, quella di accogliere la problematizzazione del modello e l’incertezza del processo. In entrambi i casi si tratta di accogliere il “rischio” della complessità, di risvegliarci a un problema. È la vita che ce lo chiede, al di là di ciò che pensiamo.
Problematizzare il modello democratico e accogliere l’incertezza del processo democratico significa mettere in discussione tutti i nostri paradigmi interpretativi che, con grande evidenza, costituiscono il “fortino di non senso” nel quale ci rinchiudiamo.
Questa riflessione si colloca tra la problematizzazione delle certezze e l’accoglimento dell’incertezza. Si tratta della nostra frontiera; dietro di noi c’è tutto il pensato e il conosciuto, davanti a noi c’è la forza del cambiamento.
Propongo alcuni passaggi di senso, cercando di calarli nella nostra esperienza democratica:
– dal competitivo al cooperativo
– dal certo all’incerto
– dall’ “eterno presente” al “visionario progettuale”
– dal quantitativo al qualitativo
– dal “tutto governabile” alla presa d’atto che non tutto è governabile
– dal prevedibile all’imprevedibile
– dall’immediato al mediato
– dall’unipolare al multipolare
– dal disciplinare al transdisciplinare
– dal lineare al complesso
Nell’immaginare tali passaggi, è ovvio, non penso che essi rappresentino la negazione dei punti di partenza. Nella nostra natura di persone umane, infatti, il competitivo, il certo, l’”eterno presente”, il quantitativo, il “tutto governabile”, il prevedibile, l’immediato, l’unipolare, il disciplinare, il lineare sono dimensioni ineliminabili e ci appartengono profondamente. Il mio contributo vuole collocarsi sul piano della loro problematizzazione, non negandoli ma non negando altresì ogni prospettiva possibile.