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Perché Hollande gongola per la sconfitta di Hamon e Fillon

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Quel diavolaccio di François Hollande. E forse non è stato neppure lui. Il 27 gennaio 2016, Hollande ha spedito fuori dal governo Christiane Taubira, residuo del gruppo alla Varoufakis della sinistra socialista, contrario a ogni riforma e alla riduzione del deficit, espulso dal governo di Manuel Valls all’arrivo di Emmanuel Macron al ministero dell’Economia, ad agosto 2014. Dopo avere allontanato la sinistra socialista dal governo, Hollande gli ha ceduto il Partito che, alla fine del percorso e dopo il primo turno delle presidenziali, si trova ora al 6%. Li ha fatti fuori insieme al partito.

Anche la destra post-gollista andava liquidata. La frattura tra Alain Juppé e François Fillon era troppo profonda, in particolare sulla politica economica (quindi sull’Europa) e sulla politica estera (quindi sulla Nato). Filo-russo, critico delle riforme e dell’Europa, Fillon ha vinto le primarie della destra il 27 novembre 2016, con oltre il 66% dei voti. Da allora è stato sottoposto a un fuoco di fila continuo: scandali su assunzioni illegittime, campagne stampa, critiche. Al primo turno delle presidenziali è arrivato terzo, poco oltre il 20% dei voti: non andrà al ballottaggio. È stato fatto fuori, e il partito “Les Républicains” è indebolito, fratturato, confuso.

Forse non è stato quel diavolaccio di Hollande, ma sopra i due partiti in crisi è apparso uno schema nuovo. Il 6 aprile 2016 Emmanuel Macron ha presentato un nuovo movimento, “En Marche”, con una decostruzione di modelli un po’ come in Italia, con un giovane alla Matteo Renzi, i partiti nel cantuccio, le riforme da fare, il nemico identificato nella chiusura delle frontiere e all’Europa, nella destra estrema e nel populismo.  L’ipotesi italiana di un Partito della Nazione veniva letta in ambienti francesi come capace di riunire tutte le forze “repubblicane” intorno alle riforme, lasciando fuori populisti ed estremisti. Vi era stato un precedente, alle comunali di Pau del 23 e 30 marzo 2014,  quando il centrista François Bayrou aveva superato il bipolarismo tra socialisti e post-gollisti lasciando il Front National al 6,7%.  Nell’autunno 2016, la sconfitta di Hillary Clinton – cioè l’errata riproposizione di un modello vecchio contro la proposta populista –  aveva confermato la bontà della scelta. Per le elezioni francesi occorreva una nuova faccia, una nuova sigla e un nuovo progetto.

“En Marche” ed Emmanuel Macron sono stati appunto non soltanto un progetto elettorale, ma anche la speranza di fare infine le riforme, in una Francia bloccata da lobby di ogni genere, dai sindacati, da mille centri di potere e di interesse, dagli ufficiali giudiziari ai tassisti, dai piccoli comuni agli avvocati. L’Italia è stata guardata con attenzione, per esempio sulla riduzione dei livelli di governo territoriale, province e camere di commercio, oppure sulla riforma del lavoro. Sono temi per cui ci si straccia le vesti, nei due Paesi. Tuttavia, su di essi le due grandi forze tradizionali hanno fallito, malgrado tentativi e promesse di Nicolas Sarkozy a destra e di Manuel Valls a sinistra.

Con il primo turno delle elezioni presidenziali, e con la riunione di forze a sostegno di Macron, il quadro politico francese sta quindi cambiando i propri connotati. Un’area, composta da personale con indipendenza di giudizio ma in parte sotto le vecchie etichette di Republicains, socialisti, centristi si trova a dover lavorare insieme e a condividere una prospettiva europea e occidentale, aperta al mercato e alla competizione. L’area riformista darà probabilmente vita a una coalizione, più o meno conflittuale, e si troverà di fronte due aree agguerrite contro le riforme e contro l’Europa. Il Front National di Marine Le Pen e la “France Insoumise” della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, intorno al 20% dei voti, disegnano entrambi frontiere più alte, più protezionismi, meno concorrenza e più nazionalizzazioni, contro l’Europa e l’euro. Malgrado questa vicinanza, e a conferma della complessità della situazione, le due aree sono però incompatibili sui temi dei diritti, dell’ambiente e degli stili di vita.

Non a caso, già alla sera del primo turno delle presidenziali, l’attenzione si spostava alle elezioni parlamentari, che si terranno l’11 e il 18 giugno 2017. Perché, se domenica 8 maggio Emmanuel Macron vincesse al ballottaggio, le sue riforme dipenderanno anche dal consolidamento e dal nuovo rapporto tra le forze politiche che lo sosterranno.


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