Tenendo conto delle – piuttosto vaghe – indicazioni fornite ieri in materia di privatizzazioni, in sede di presentazione del Documento di economia e finanza, e in particolare in relazione al piano (non ancora di dominio pubblico) di trasferimento delle partecipate quotate, dal ministero dell’Economia alla Cassa depositi e prestiti, sul progetto, nella sua natura ancora informe, si possono comunque avanzare considerazioni tecniche di tipo generale.
Come verrebbe strutturata nella sostanza l’operazione definita “Capricorno”? Secondo quanto emerge dalle indiscrezioni di stampa, il piano contemplerebbe il trasferimento delle seguenti quote in società partecipate dallo Stato: Enav (53%), Enel (23,58%), Eni (4,34%), Leonardo (30,20%), Poste Italiane (29,26%). Valore complessivo di mercato: poco più di 18 miliardi di euro. Il Mef ne trasferirebbe la titolarità al gruppo Cdp (controllata dal Tesoro), alla quale a fronte degli attivi azionari emetterebbe, si suppone, azioni prevalentemente di risparmio. Su queste pare vi sia già l’interesse di un gruppo di fondazioni di origine bancarie e potrebbe esserci l’attenzione anche di banche, enti previdenziali e assicurazioni.
Lo Stato verrebbe dunque diluito nella sua partecipazione originaria al capitale della Cassa depositi: oggi dell’82,77%. Ma c’è di più: a fronte della cessione il Mef non riceverebbe un flusso di cassa destinato al Fondo ammortamento per il debito pubblico (e dunque ad un suo diretto abbattimento), ma si vedrebbe corrisposta un’obbligazione subordinata che – in base a quanto riportato dalla stampa – non potrebbe vendere. Il rendimento cedolare atteso di un titolo simile potrebbe configurarsi nell’intorno del 3-3.5% l’anno: forse meno. (Contro un dividendo netto dell’azione che il Ministero viene oggi a percepire più o meno del 6-6.5%).
Senonché, non vi sarebbe in ogni modo un mercato liquido per 18 miliardi di obbligazioni subordinate Cdp. L’unica ipotesi ammissibile è dunque quella per cui la Cassa si impegni in un programma di riacquisti scadenzato (opzione call: simile alle strutture dei titoli bancari T2 e At1), da portare a termine in un orizzonte temporale che ci si può figurare, per esempio, essere triennale. E ciò, è ragionevole assumere, a partire dal 2020/21: in tal modo consentendo alla Cassa di immettere nel tessuto economico risorse preziose per l’economia.
Con i proventi derivanti dal riacquisto periodico lo Stato andrebbe ad accrescere il Fondo ammortamento, a riduzione diretta del debito pubblico.
Come verrebbe in seguito a mutare la compagine azionaria di Cdp? Il Mef vedrebbe la sua partecipazione diluita dall’82,77% al 53% circa: continuando a mantenere un’ampia maggioranza tale da consentirgli un esercizio effettivo di controllo, il quale – anche in virtù di specifici vincoli giuridici – non verrebbe comunque messo in discussione (la governance di Cdp è infatti integrata da un’apposita Commissione parlamentare di vigilanza).
La Cassa verrebbe a dotarsi per conseguenza di un ammontare significativo di risorse finanziarie che, al netto della ponderazione per il rischio (Rwa) in base ai parametri dell’Eba, e dell’assorbimento di capitale in linea con la direttiva Europea Crd IV, si può stimare nell’ambito dei 14 miliardi. Un rafforzamento patrimoniale di notevole entità.