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Cosa è successo fra Ivanka Trump, Angela Merkel e Christine Lagarde

Di Emanuele Rossi e Rossana Miranda

“Alzi la mano chi è femminista”, ha detto la moderatrice del Women 20 Summit 2017 a Berlino. Christine Lagarde, presidente del Fondo Monetario Internazionale, è stata la prima ad alzare il pugno e dire, entusiasta, di sì. La Cancelliere tedesca, Angela Merkel, impiega qualche minuto prima di dare una risposta a metà strada. Anche Ivanka Trump, figlia del presidente americano Donald Trump, alza la mano e sorride. “Che importa il nome?”, risponde invece la regina di Olanda, Maxima Zorreguieta

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IVANKA, DONALD E LE DONNE

Per la first-daughter, come la chiamano i giornalisti per sottolineare insieme che è la figlia prediletta e che per questa (e altre ragioni) fa le veci della First Lady Melania, quella di Berlino è stata la prima uscita internazionale da consigliere speciale del presidente – ruolo istituzionale che si mescola con il rapporto famigliare. Nella capacità di sintesi tremenda della lingua inglese, il verbo che fa da commento al suo intervento è “booed” ossia le hanno fatto “booh!” dalla platea (e non solo per la mano alzata). Quando ha detto che il padre è un “tremendous campione per il supporto alle famiglie” – usando quel “tremendous” che nell’eventuale nuvola della parole più usate dal presidente Donald Trump avrebbe un font-size sopra agli altri – in platea hanno mormorato. A quel punto la moderatrice Miriam Meckel (che dirige il settimanale WirtschaftsWocke) glielo ha fatte notare e le ha chiesto di essere più specifica su quanto è credibile il padre come supporto allo Woman Empowerment (tema di fondo dell’incontro). E lei, figlia e consigliere, ha risposto: “Certamente sento le critiche dai media, ma io so per esperienza personale e penso che le migliaia di donne che hanno lavorato con e per mio padre quando lui era nel settore privato, sono il testamento sul suo credere e sulle solide convinzioni nel potenziale delle donne”. Risultato, altri mormorii e qualche fischio; impossibile dimenticare per l’immaginario, anche quello di qualità presente all’incontro, certi scivoloni come quello del video 2005 rintracciato dal giornalista del Washington Post David Farenthold (che per la copertura delle presidenziali ha vinto un meritato e previsto Pulitzer) durante la campagna elettorale, in cui Trump scherzava a microfono aperto dicendo: “Quando sei famoso [le donne] te lo lasciano fare. Puoi fare quello che vuoi” con dettagli scurrili.

CONTROVERSIE E CONFLITTI (D’INTERESSE)

Ivanka e Lagarde sono due donne che si identificano senza dubbi con il femminismo, nonostante nell’immaginario collettivo possano anche rappresentare politiche che favoriscono le diseguaglianze: e polemiche su quelle mani alzate. Ma per la figlia del presidente, parole sue, “rafforzare il ruolo delle donne è stata una missione centrale della sua carriera professionale”. Sul tema ha scritto due libri, l’ultimo “Women who work”, sarà in libreria il 2 maggio: nessun tour presentazioni previsto, ricavi donati in beneficenza. Come sostiene John Pudner, direttore del think tank conservatore Take Back our Republic, con Ivanka “qualsiasi situazione può essere vista come un conflitto di interesse o influenza”.

GLI ABITI, LA FORMA

Mentre una top star dei giornalisti politici come Mike Allen scrive di aver parlato con Ivanka e di aver saputo che lei sta mettendo insieme un fondo per finanziare progetti di imprenditoria femminile nel mondo, anche la scelta degli abiti della figlia del Prez è motivo di speculazioni (e forse l’argomento coccia con lo women empowerment). Ivanka ha preferito indossare per l’incontro di Berlino un modello della collezione primavera-estate 2017 dello stilista newyorchese Michael Kors: l’abito a stampa di fiori che ricorda lo stile anni ’50 è il primo simbolo internazionale della “fashion diplomacy“, come la chiama l’Hollywood Reporter (che si chiede: perché a una conferenza sulle donne imprenditrici non ha scelto un abito di una stilista americana?). Nell’attenzione ai dettagli che la stampa dà al look della first-daughter – che va oltre il gossip dopo che la prima apparizione pubblica a “60 Minutes” della CBS il 16 novembre si era portata dietro gli “style alert” perché portava un braccialetto della sua collezione da oltre 10 mila dollari (‘faceva pubblicità?’, il succo) – non sfugge che i tacchi di camoscio blu indossati sono il modello “Carra” (costo 55 dollari) del suo marchio.

GLI SCONTRI NELLA WEST WING

“Sto ascoltando, sto imparando, sto definendo il modo in cui penso che sarò in grado di avere un impatto” ha anche detto Ivanka, quando la domanda di Meckel è andata su quello che lei stava facendo alla Casa Bianca, con aguzzi accenni all’eventualità di conflitti di interessi. Ivanka, insieme al marito Jared Kushner (altro consigliere strategico della Casa Bianca) incarnano il lato moderato, centrista, a tratti liberal se vogliamo, del potere trumpiano. In queste ultime due settimane i media americani sono stati pieni di articoli retroscenisti sulle lotte di potere interne alla West Wing. Gli angusti corridoi dell’ala dell’esecutivo della White House sono protetti dagli alberi (la parte occidentale dell’edifico al 1600 di Pennsylvania Ave è più bassa del resto), ma non dalle indiscrezioni. Kushner ha l’ufficio prospiciente lo Studio Ovale, “è un messaggio” dicono i giornalisti americani, Ivanka è al piano di sopra circondata da due collaboratori che in questo momento stanno muovendo le fila dell’azione di governo: Dina Powell, entrata per volere dei Kushner nel Consiglio di Sicurezza nazionale come collaboratrice della daughter in chief, e Gary Cohn che da Wall Street si è spostato a Washington per tenere la barra dell’economia. Elementi che sotto la guida della coppia Ivanka+Jared stanno cercando di normalizzare l’azione del presidente, combattendo contro gli estremisti trumpiani incarnati su tutti dall’ideologo Stephen Bannon. I viaggi internazionali di Ivanka, al prezzo di qualche fischio, servono per esportare anche all’estero la linea che sta prendendo il sopravvento e trasmettere un messaggio di normalizzazione agli alleati – un po’ quello che già fanno altri elementi dell’amministrazione, come il vice segretario Mike Pence o il capo del Pentagono. 



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