Una piccola precisazione. Le mie parole rispetto alla competizione sono da inquadrare nel contesto del “pensiero critico” e non dell’ “approccio antagonista” che non considero un pensiero. Ciò che è critico, infatti, lavora a scoprire “dentro” per guardare “oltre”. L’approccio antagonista, al contrario, vuole e pretende uno scontro tra superficialità e, con particolare riferimento alla competizione, serve soltanto a imporre una competizione di segno diverso su quella esistente.
Detto questo, mentre la democrazia-modello è uno strumento competitivo, spacciato per “fine”, la democrazia-processo è un complesso non semplificabile di antagonismi (in conflitto-competizione fra di loro) e di progettualità in perenne cambiamento. La democrazia-processo è uno “strumento” di organizzazione della convivenza umana e, in quanto tale, ha i tempi e i modi della vita con tutte le potenzialità e con tutti i limiti che questi comportano.
Di fronte alle grandi sfide della globalizzazione, la democrazia-modello non può fare altro che de-generare (da “fine” può solo trasformarsi in pericoloso “feticcio”) mentre la democrazia-processo può maturare, e far maturare, il talento della mediazione e della costruzione progettuale (da “strumento” può trasformarsi in opportunità ma non certo in “fine”).
Nel mondo-che-è, e non in quello che vorremmo fosse, la de-generazione della democrazia-modello è un dato evidente. Nel “vuoto” politico, la de-generazione di sistemi che chiamiamo democratici, e che in realtà sono a-democratici, si porta dietro il destino d’interi popoli e del mondo intero. Ci limitiamo a prendere atto che le nostre convivenze sono sempre di più sommatorie di individualità competitive, ammassi di esseri umani che esistono e non vivono, luoghi del disagio e della paura; il problema, secondo me, è preliminare a ciò che appare, è nella nostra narrazione della convivenza e, in nome di quella narrazione, nelle scelte che le élite compiono, paradossalmente rafforzate da una diffusa “ indifferenza irresponsabile” (quella di ciascuno di noi). Di tanto in tanto succede che le democrazie-modello i”implodano esplodendo” ma ciò che andrebbe studiato è la nostra incapacità, o mancanza di volontà, di renderci conto che tale modello non è sostenibile, oltre che pericoloso.
Rispetto alla democrazia, passare “dal competitivo al cooperativo” significa, anzitutto, ri-trovare la nostra responsabilità storica di cittadini-soggetti storici. In quanto persone umane, siamo “misteri” che si incontrano e si scontrano e, proprio perché differenti l’uno dall’altro, siamo chiamati al dialogo. Di conseguenza, il passaggio dal “competitivo al cooperativo” può aiutare la democrazia a farsi luogo di un “dialogo dialogante”. Inoltre, in tale passaggio, la bellezza “misteriosa” del dialogo permette alla democrazia di accogliere il “rischio positivo” della sua trasformazione.