Trovare una quadratura del cerchio non è semplice: soddisfare le aspettative di Bruxelles con una “manovrina” correttiva; non scontentare Matteo Renzi che è in piena campagna per le primarie del Pd; non soffocare la pallida ripresa che si comincia a registrare.
Nella partita – politica ma anche economica – legata alla manovra c’è anche un capitolo tutt’altro secondario. Quello relativo alle sigarette. Quello del tabacco sarà con tutta probabilità l’unico comparto a subire aumenti di tassazione, dopo che il confronto tra governo e gruppi parlamentari di maggioranza ha escluso altri interventi su benzina, alcool e forse anche giochi. Servono quasi 200 milioni aggiuntivi, è l’obiettivo dell’esecutivo. Non c’è in ballo solo l’interesse dell’erario (che l’anno scorso ha incassato 14 miliardi dal fumo). Ci sono anche i consumatori, su cui con ogni probabilità verrà scaricato l’onere di tasse più alte.
Ma se si deve proprio continuare su questa china, spremendo i consumatori, allora si vietino le sigarette. In Italia operano le grandi multinazionali del tabacco, più qualche piccolo operatore nostrano. Chi ha più reddito può permettersi sigarette costose. Chi vive al limite della soglia di povertà continuerà a comprare un pacchetto da venti sigarette, tirando fuori un foglio da 10 euro e ricevendone in cambio qualche monetina? O non si rivolgerà piuttosto – se proprio è un tabagista impenitente – ai banchetti che sono tornati a imperversare nei vicoli di Napoli, Bari o Palermo.