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Perché gli stimoli monetari si ammosceranno

Yellen

La maturazione della fase di espansione dell’economia globale, che lo scorso anno ha superato un periodo transitorio di rallentamento guidato dai paesi emergenti, sta portando diverse Banche centrali a rivedere l’orientamento della politica monetaria: lo smantellamento delle misure straordinarie introdotte negli anni successivi alla grande crisi finanziaria sembra ormai avviato. Non avendo dovuto fare i conti con la crisi del debito che ha colpito l’Eurozona dal 2010, o con un problema strutturale di insostenibilità del debito pubblico (Giappone), la Federal Reserve è un po’ più avanti su questo cammino.

Il programma di acquisto delle attività finanziarie è stato sospeso già nel 2014, preparando i mercati all’evento fin dall’anno prima, mentre i tassi ufficiali sono stati già alzati tre volte (dicembre 2015, dicembre 2016 e marzo 2017). La Banca centrale europea ridurrà da aprile il volume mensile di acquisti del suo App (Asset purchase programme), ma non ha ancora annunciato che cosa accadrà dal gennaio 2018.

Il programma di operazioni di rifinanziamento a lungo termine del sistema bancario (Tltro) non è stato rinnovato, mentre a marzo è stata formalmente riproposta la previsione che i tassi ufficiali restino a livelli pari o inferiori a quelli attuali ben oltre la fine del programma di acquisti. Tuttavia, i mercati hanno iniziato a scontare un rialzo dei tassi ufficiali (in particolare del tasso sui depositi, che in regime di piena allocazione è il vero tasso guida) già tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, confortati in ciò da dichiarazioni dei banchieri centrali che mettono chiaramente in discussione la sequenza fin qui ipotizzata di normalizzazione della politica monetaria. Se le previsioni sulla continuazione dell’espansione economica e sulla vittoria di candidati moderati alle elezioni politiche in Francia saranno confermate, quindi, è probabile che anche nell’Eurozona lo stimolo monetario venga ridotto nell’arco dei prossimi dodici mesi.

Mentre l’avviso dato da Bernanke nel 2013 che la Federal Reserve stava per dismettere il programma di acquisti aveva causato turbolenze sui mercati finanziari mondiali e sulle monete dei paesi emergenti, in questo caso l’adattamento delle aspettative sembra avvenire senza problemi. La diversa risposta potrebbe dipendere da una maggiore fiducia nella resilienza dell’economia globale, aiutata dai segnali di rafforzamento della crescita arrivati negli ultimi mesi.

Inoltre, si è manifestata una maggiore attenzione ai fondamentali specifici dei paesi rispetto a quelli globali, che si è tradotta anche in un calo delle correlazioni fra asset class, settori e regioni geografiche1. Lo stesso aumento dell’incertezza sulla politica economica ha assunto un ‘colore’ espansivo negli Stati Uniti, ove gli investitori azionari si sono rapidamente convinti che la nuova amministrazione avrebbe ridotto il carico fiscale sulle imprese. Ma un ultimo e finora decisivo fattore è costituito dal fatto che le aspettative di rialzo dei tassi rimangono molto moderate. I future sui Fed funds arrivano appena a sfiorare il 2% nel 2020, restando perciò sotto la più bassa delle stime fornite dai membri del Fomc. Nell’Eurozona, i future sull’Euribor 3 mesi rimangono estremamente piatti, scontando tassi inferiori allo 0,5% fino a tutto il 2020.

La moderazione delle aspettative di rialzo dei tassi potrebbe essere giustificata. Un’accelerazione della restrizione monetaria potrebbe avvenire a fronte di minacce alla stabilità dei prezzi o di
segnali che le condizioni monetarie troppo accomodanti stanno minacciando la stabilità finanziaria. Riguardo al secondo problema, però, non è universalmente condiviso che la risposta debba essere una restrizione della politica monetaria, se si dispone di strumenti macroprudenziali di controllo per tenere a bada gli eccessi finanziari. Riguardo alla dinamica dei prezzi, è probabile che il rimbalzo delle quotazioni petrolifere dai minimi di un anno fa alimenti nei prossimi mesi una certa ripresa dell’inflazione sottostante.

Tuttavia, ci sono ottimi motivi per ritenere che l’inflazione resterà moderata ancora per parecchio tempo. Innanzi tutto, a meno di inattesi shock negativi di offerta, non pare che le quotazioni petrolifere siano destinate a salire molto nel prossimo biennio. Perciò, l’impulso dato dal costo dell’energia sarà mediamente neutro. In secondo luogo, la globalizzazione ha creato un eccesso globale di capacità produttiva e ridotto la rilevanza dei fattori domestici nel processo generativo dell’inflazione, offrendo maggiori opportunità ai produttori di sostituirli con input importati.

Il legame fra le misure di inflazione e quelle di global slack sembra dipendere dalle importazioni e dalle esportazioni di beni intermedi2. In un simile contesto, nell’industria è più difficile per i lavoratori sfruttare la scarsità di manodopera per spuntare migliori condizioni salariali, ma anche per i produttori di beni intermedi aumentare i prezzi di vendita. Almeno sui mercati dei beni, le pressioni inflazionistiche faticheranno a prendere piede. Infine, lo scenario politico internazionale resta caratterizzato da notevole incertezza.

Negli Stati Uniti, l’amministrazione Trump si è arenata sul primo scoglio parlamentare, quello della riforma sanitaria. L’episodio ha dimostrato che sarà tutt’altro che agevole realizzare le divisive promesse della campagna elettorale, inclusa quella sul taglio della pressione fiscale. In Europa il quadro è ancora molto fluido. Le elezioni olandesi hanno confermato un certo rafforzamento degli euroscettici, ma questi non saranno in alcun modo cruciali per la formazione del prossimo governo. Anche i sondaggi per le elezioni francesi continuano a mostrare la leader del FN perdente al ballottaggio delle elezioni presidenziali contro il centrista Macron.

Però, l’Eurozona dovrà affrontare altre criticità nei prossimi mesi, fra le quali elezioni politiche in Italia (inizio 2018) che rischiano di produrre un parlamento bloccato e caratterizzato da una massiccia presenza di partiti che propugnano, sebbene con diversi livelli di convinzione, la necessità di uscire dall’unione monetaria. D’altro canto, sia in Francia sia in Germania candidati di primo piano (Macron, Schulz) dimostrano di aver compreso la necessità di proporre soluzioni nuove ai problemi dell’Eurozona; la loro presenza indica che i rischi non sono soltanto al ribasso e di natura distruttiva.

Le nostre proiezioni sulla crescita del Pil hanno subito revisioni marginali rispetto a dicembre, mentre quelle sull’inflazione 2017 sono salite significativamente. Continuiamo ad attenderci una
maggiore diffusione della crescita e un modesto aumento del ritmo di espansione globale, nonché un rientro parziale del recente aumento dei tassi di inflazione. Anche le stime di consenso risultano pressoché invariate negli ultimi mesi, con una lieve tendenza al rialzo che riguarda la crescita 2018 e l’inflazione 2017, ma revisioni prevalentemente al ribasso per la crescita degli Stati Uniti nel 2017. Quest’ultima fase di divergenza delle politiche monetarie potrebbe forse ancora produrre un ultimo e transitorio rafforzamento del dollaro. Gli eventi delle ultime settimane suggeriscono che i mercati potrebbero già essere entrati nella fase successiva, potenzialmente più favorevole a una ripresa dell’euro, ma la situazione è ancora abbastanza fluida.

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