Con l’uscita di Triplicate, l’ultimo album di Bob Dylan, il cantautore americano ha rincarato la dose creando una frattura tra i suoi seguaci, cioè tra coloro che apprezzano la sua fase da crooner (che predilige canzoni melodiche) e quanti vorrebbero che ritornasse a comporre canzoni a modo suo.
La sua svolta nasce da un dichiarata passione per Frank Sinatra. Vale allora la pena di individuare che cosa i due hanno in comune. Entrambi si sono dilettati a dipingere quadri, con fortune alterne, e da giovani abbandonarono l’università prima di finire gli studi. Ciò che li distingue è il rapporto con “la parola di quattro lettere chiamata amore”. In italiano questa definizione ha un suono stravagante, semplicemente perché in inglese la parola “love” di lettere ne ha quattro e ciò la accomuna alla maggior parte delle parolacce inglesi che sono spesso composte da sole quattro lettere. Dylan in un suo testo prestato a Joan Baez nel 1965 esaspera l’ambiguità di questo gioco di parole, dicendo “love is a four-letter word”: l’amore è una parolaccia. Chissà se Frank Sinatra si sarebbe spinto a tanto, visto che sembrava prendere la parola “amore” molto più sul serio.
La voce romantica di Frank raggiunge e fa invaghire i cuori delle donne americane rimaste a casa durante la Seconda guerra mondiale mentre i loro compagni sono stati arruolati, stanno combattendo e non è sicuro che ritorneranno. Anche Dylan con la canzone Wallflower si rivolge alla ragazza che nessuno invita a ballare alle feste, ma non è la stessa cosa. È raro che Bob si lasci andare a un sentimento semplice. Frank negli anni ruggenti della sua ascesa abbraccia il romanticismo, dà voce alla solitudine di una nazione intera e riscatta le umiliazioni di una generazione di immigrati italiani diventando un modello di vita a cui tutti vorrebbero aspirare.
Così come accade a Bob Dylan negli anni Ottanta/Novanta (fino al riscatto segnato da Time Out Of Mind), Sinatra subisce – alla conclusione del conflitto mondiale – una drastica caduta di popolarità che lo costringe a reinventarsi. Ne emergerà più forte di prima, con una nuova iconografia (il suo inseparabile cappello) e la consapevolezza che niente e nessuno l’avrebbe mai più veramente scalfito.
Una classica storia americana di caduta e rigenerazione che Dylan non può non aver ben presente, avendola d’altronde vissuta in prima persona. Spesso Bob si è lamentato del fatto che il suo pubblico sia composto in prevalenza da uomini. E se uno dei motivi della sua svolta “sinatriana” non fosse, banalmente, quello di attrarre un pubblico femminile di una certa età con canzoni romantiche che esulano dal suo consueto repertorio?
È ovvio che questo è soltanto un tentativo di spiegazione molto parziale. In una sua recentissima intervista Dylan racconta un suo incontro con Sinatra: “Eravamo fuori nel suo giardino e mi disse ‘io e te, amico, abbiamo occhi azzurri, veniamo da lì’ indicando le stelle, ‘mentre questi altri accattoni provengono da qui’”. Dylan ne deduce che Sinatra potesse aver ragione. Ma che caspita sta cercando di dire? Che loro due appartengono a una razza speciale?