Skip to main content

Tutti i conflitti interni all’Islam fra sciiti e sunniti

Nell’idea degli occidentali, l’Islam è un monolite. La conseguenza è che lo si vive, lo si analizza e se ne discute senza rendersi conto delle molteplici divisioni che lo caratterizzano, rendendolo un universo pervaso da tensioni, a volte anche gravi e pronte a esplodere rovinosamente ogni qualvolta se ne presenti l’occasione.

In questo momento storico di trasformazioni accelerate e di cambiamento continuo, l’Islam è, ad esempio, dilaniato da una vera e propria serie di conflitti intestini, alcuni palesi e altri forse meno visibili, ma certo non meno gravi ai fini di quella unitarietà della Ummah (comunità di fedeli, ndr) che per il momento esiste solo nelle speranze dei credenti e nelle nostre esagerate paure.

Il primo e il più visibile degli scontri è quello che attualmente oppone la movenza sciita e quella sunnita della religione, insanguinando differenti e lontani campi di battaglia, dalla Siria all’Iraq allo Yemen – e la lista potrebbe divenire domani ancora più lunga. Il secondo, una lotta sorda e condotta senza esclusione di colpi e di cattiverie reciproche, è il confronto in atto fra varie potenze regionali per assicurarsi la leadership in ambito sunnita. Ne sono protagonisti, in modi diversi ma con fini in pratica coincidenti, l’Egitto, l’Arabia Saudita e quella Turchia di Erdogan che, anche per colpa di tale confronto, diviene di giorno in giorno sempre meno europea e sempre più mediorientale.

Un quarto protagonista sunnita può infine essere identificato nel Qatar, che sviluppa una politica molto ambiziosa, tentando di supplire con la sua enorme ricchezza ai suoi limiti territoriali, nonché alla sua ridotta popolazione. In ambito islamico, nemmeno il terrorismo di matrice sunnita riesce a presentarsi con un fronte unitario. Al di là della fuorviante congerie di fantasiose sigle che contraddistinguono i suoi gruppuscoli, anch’esso è sostanzialmente diviso in due campi rivali, dominati l’uno dall’Isis e l’altro da al-Qaida, in perenne competizione fra loro per un primato considerato fondamentale per la sopravvivenza. Da esso, e dal modo in cui ciascuno dei due grandi gruppi può essere percepito dall’universo sunnita, dipende infatti l’entità dei due grandi flussi – l’uno di potenziali combattenti, l’altro di denaro – che sostengono la lotta di al-Qaida e dell’Isis contro i loro nemici.

Essenziale il fatto che essa sia condizionata proprio da una percezione e che quindi possa essere influenzata non soltanto dai reali risultati conseguiti, ma anche dal modo in cui essi vengono presentati ai potenziali clienti del terrore, con un’operazione che ha molto del marketing. È un concetto che entrambe le organizzazioni hanno molto chiaro e che le ha portate a sviluppare, soprattutto in Rete, un imponente apparato comunicativo. Le ha indotte anche a selezionare i propri obiettivi non soltanto in funzione delle necessità strategiche o tattiche, ma anche delle necessità di immagine. Così, ogni volta che il loro tentativo di crearsi una stabile base territoriale in area islamica ristagna o regredisce, il blasone di entrambe, che per essere efficacemente venduto ha bisogno di risultare sempre vincente, viene tempestivamente ridorato per il tramite di una serie di feroci attentati che colpiscono direttamente o indirettamente l’occidente e i Paesi più industrializzati dell’Asia.

Viene quasi da pensare, a volte, che gli attacchi che hanno insanguinato numerose capitali europee siano stati motivati soprattutto da questa ragione, con l’eccezione, forse, di quelli condotti a Parigi – considerata la forte presenza militare che la Francia conserva ancora nel mondo islamico. Contribuisce ad alimentare questa idea anche il rilievo particolare di cui godono attacchi di questo tipo nei mass media di tutto il mondo, controllati per buona parte da capitale occidentale e, quindi, più inclini a concedere spazio a un attentato che colpisca Bruxelles piuttosto che a uno che avvenga a Nairobi.

Se questo è vero, la possibile imminente sconfitta dell’Isis in Siria e in Iraq potrebbe coincidere con una crescente ondata di attentati diretti verso il nostro continente e resi più facili anche dal ritorno dei foreign fighter europei sfuggiti alla mattanza. Auguriamoci che ciò non avvenga, ma teniamoci in ogni caso ben pronti a fronteggiare anche questa eventualità.



×

Iscriviti alla newsletter