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Un nuovo contratto di lavoro per la App Economy

Affermando genericamente che esiste la “app economy” ci riferiamo a quel mondo in via di cambiamento che attraverso l’utilizzo appunto delle “app” sviluppate specificamente per determinate attività riescono ad ottenere semplificazioni dei processi organizzativi, digitalizzazione di alcune attività prima destinate ai collaboratori, eliminazione di intermediari. Insomma, una rivoluzione organizzativa e produttiva destinata ad avere un forte impatto sociale e culturale. Per quanto ci riguarda, l’attenzione va posta su quelle che potrebbero essere le conseguenze sul piano occupazione e se dal punto di vista legislativo le attività/prestazioni di lavoro rese con queste diverse modalità organizzative, sono da considerarsi all’interno dell’attuale ordinamento giuslavoristico; se così non fosse, occorre immaginare le necessità di elaborare un contratto specifico.

Orbene, se è vero come è vero, tutto ciò che si dice e si legge in ordine alla “gig economy”, alle “economy on demand “, non possiamo ritenere che le prestazioni rese all’interno e a valle di questi processi organizzativi e produttivi sono inquadrabili nelle attuali fattispecie di lavoro subordinato, autonomo o di collaborazione coordinata e continuativa.  Ad oggi gli esempi di sviluppo dell’app economy sono concentrati nel settore della “consegna del cibo” e degli “autisti” per i quali è in atto un’importante battaglia: l’inquadramento giuridico. C’è chi come datore di lavoro è alle prese con contratti e sindacati (Foodora) e che non si ritiene nemmeno tale, ma soltanto una piattaforma digitale (Deliveroo).

Inquadrato il tema occorre capire come affrontare e se affrontare giuridicamente la questione magari attraverso l’intervento legislativo. Personalmente ritengo che l’intervento del legislatore sia doveroso anche perché siamo solo all’inizio di quella che viene denominata la quarta rivoluzione industriale, e sarebbe bello per una volta non trovarsi a rincorrere gli eventi, i cambiamenti, le necessità. Cosa dovremmo fare? Si dovrebbe per cominciare, abbandonare completamente l’attuale distinzione fra lavoro autonomo e subordinato, si dovrebbe abbandonare l’attuale definizione di “lavoro” poiché non rappresenta ciò che sarà. Si modificano tutti gli attuali elementi e caratteristiche del rapporto di lavoro a partire dal “luogo”; difficile immaginare il lavoratore del futuro collegato ad una (o unica) sede di lavoro. Lo stesso dicesi delle “categorie”, “inquadramenti”, “mansioni” e più genericamente, delle gerarchie.

Gli indicatori dell’”autonomia” e della “subordinazione” non saranno più utilizzabili, ed allora il modello intero salta. Si potrebbe optare per la rinascita del principio di “autonomia contrattuale” presente nel nostro ordinamento e che per anni ha risolto problemi come quello che ci occupa, ma non è più tempo. Allora potremmo pensare ad una soluzione diversa, ad una soluzione che potrebbe anche disinteressarsi delle qualificazioni ma riferirsi ad un sistema di protezione per i lavoratori interessati. Protezione assicurativa e contributiva diversa da quella attuale, perché in questo scenario dai contorni incerti un unico dato invece è sicuro: se dovessimo caricare il lavoro di queste nuove e diverse realtà del costo che attualmente grava sul “vecchio lavoro”, queste imprese scomparirebbero.

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