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Shahbaz Bhatti, ucciso per la sua fede, nel ricordo del fratello Paul

C’è una scena parecchio eloquente in cui Shahbaz Bhatti – raccontato dal fratello Paul nel libro “Shahbaz. La voce della giustizia”, edito dai tipi della San Paolo – vede un professore cristiano costretto a riporre le sue posate in un armadietto a parte. Chiedendo spiegazioni, gli risposero che in quanto cristiano gli era proibito toccare le posate degli altri, per non contaminarle. Quel giorno Shabhaz prese in mano un gessetto e scrisse alla lavagna: “Da oggi in poi la mia vita sarà dedicata ai più deboli”.

Era ministro pachistano per le minoranze religiose quando, il 2 marzo 2011, venne assassinato dopo aver ricevuto numerose minacce. La sua colpa era aver difeso dei cristiani pachistani, tra cui Asia Bibi, ancora condannata a morte per la sua fede a causa di una assurda legge sulla blasfemia tutt’ora in vigore. In questo momento, nella sua diocesi in Pakistan, si stanno raccogliendo testimonianze per la beatificazione, in seguito al processo voluto e fatto partire da Papa Francesco.

“Oggi il fanatismo ha raggiunto i suoi picchi in una fede che esprime odio verso l’altro e dipinge Dio come oggetto di vendetta e violenza”, ha detto Paul Bhatti presentando il libro davanti a una sala gremita dell’Istituto Sturzo di Roma. Per scriverlo Paul ha dovuto scavare nei suoi ricordi e mettersi nei panni del fratello scomparso. Facendo questa operazione però la vicenda di Shabhaz ha assunto sembianze emotive che prima, stando al suo fianco, non gli erano del tutto conosciute. E che permettono anche di capire la realtà di oggi, dove “questo male è arrivato fino in Occidente”, e dove in Pakistan “ai bambini piccoli viene fatto il lavaggio del cervello, instillando messaggi di divisione e odio tra le varie sette e tra le stesse religioni”, racconta. Perciò è “importante identificare le cause di questo odio e violenza, e trovare soluzioni”. Perché “bisogna conoscere il male per sconfiggerlo”.

Di fronte a tutto ciò, l’atteggiamento di Shabhaz è stato quello dettato dalla sua fede, come ricorda il cardinale Pietro Parolin nella prefazione al testo: “Servire Cristo in semplicità e umiltà, mettendosi in discussione, senza tirarsi indietro di fronte alle potenze del mondo, consapevole che niente e nessuno avrebbe potuto strapparlo dalla mano del suo Signore. È con questa fede granitica che Shabhaz ha saputo far fronte alla violenza e all’odio”. E con questo libro “ci viene data la possibilità di mettersi nei panni di chi sta dalla parte sbagliata del muro”, ha aggiunto la giornalista Monica Maggioni, che ne ha curato l’introduzione.

Soltanto poche settimane fa Bergoglio ha visitato la basilica di San Bartolomeo a Roma dedicata ai nuovi martiri, dove è riposta la Bibbia che Shabaz “leggeva ogni mattina per mezz’ora sul suo tappeto”, ha raccontato il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo, che lo conobbe personalmente nelle visite a Roma e negli incontri organizzati da Sant’Egidio nel 2011. “Era un vero patriota che credeva in un sogno per il futuro, nella costruzione di un Paese plurale”, ha detto Impagliazzo: “Un uomo che ha creduto nella forza del Vangelo e che si è identificato con Gesù nella croce”. E “chi è radicato nella fede non si sente eroe, ma sa che la sua vita darà frutto, perché è dedicata agli altri”.

“Oggi i cristiani muoiono a causa della loro fede, bisogna vedere le cose per ciò che sono”, ha proseguito il direttore di Avvenire Marco Tarquinio. “Papa Francesco in Egitto ce l’ha ricordato, in una saggezza antica, che la Chiesa è fecondata dal sangue dei martiri”. E “ci servono i loro occhi, e i loro nomi, di uomini uccisi perché si vogliono cancellare. Bisogna ricordarli, come nelle antiche liturgie, purché restino vivi”. Perciò la legge sulla blasfemia “è una bestemmia”, ha chiosato Tarquinio. Ma “il vero coraggio è quello del dialogo. Tutti sono buoni a prendere un altro coltello e perpetuare la guerra. Però ci è stato chiesto ben altro. E se rinunciamo al dialogo hanno vinto loro”.

All’inizio del convegno ha preso la parola anche Franco Frattini, che Shahbaz Bhatti lo ha conosciuto visitando il Pakistan da Ministro degli Esteri del governo italiano: “Quella del dialogo e della relazione tra religioni e confessioni è una sfida altamente politica”, ha detto Frattini. “I cristiani in Pakistan hanno dovere di esprimere la loro voce, e già allora ricordo come Shabhaz mi fece trovare un tavolo pieno di leader di tutte le religioni”. Ma purtroppo “oggi c’è ancora chi sostiene che il reato di blasfemia non viene interpretato con abbastanza rigore, e che le lapidazioni sarebbero l’effetto di troppa indulgenza. Shabaz ha lottato contro questo sistema”.

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