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Perché è deleterio temporeggiare su Bail-in e Fiscal compact

BRUXELLES, gentiloni

A poco a poco diventa sempre più chiaro quali dovrebbero essere i punti di attacco alle normative e alle policy europee se veramente ci si vuole incamminare sulla strada della riforma dell’Unione e dell’Eurozona, anche a prescindere dall’elezione di Emmanuel Macron, ma a fortiori dopo il suo successo, e mettendo realisticamente in conto le resistenze tedesche in parte già annunciate.

Dal punto di vista normativo, la prima questione che viene in rilievo è il bail-in. Al di là di qualche acritica, isolata difesa imperniata sul fatto che i governi che si sono succeduti in Italia avrebbero accolto la normativa senza dunque contrastarla, si diffonde sempre più l’area di coloro che ritengono necessaria una sostanziale riforma, a cominciare dalla retroattività della normativa e dalla possibile penalizzazione dei depositi oltre 100 mila euro. Resta non risolta la contraddizione, che il bail-in introduce, tra l’obbligo per il creditore di una banca di partecipare alle perdite e il non possesso del titolo di proprietà e la non fruizione di dividendi. Impone una tale revisione, per l’Italia, la tutela costituzionale del risparmio. Così come è oggi, la normativa in questione è destinata, anche con le attenuazioni che si tenta di aggiungervi, quale quella della ricapitalizzazione precauzionale, a provocare ulteriori danni che vanno prevenuti. Né vale la superficiale considerazione che negli altri Paesi tali conseguenze non si sono verificate, dal momento che essi hanno risolto i loro problemi prima dell’adozione della Direttiva Brrd (Germania in primis) creando, in alcuni casi anche i presupposti per sottrarsi a quest’ultima per un certo tipo di casi di dissesto bancario che si verificassero dopo la sua entrata in vigore.

Torniamo, allora, al punto di partenza: ci si deve ritenere assurdamente vincolati a vita perché i governi succedutisi non hanno agito come sarebbe stato lungimirante agire? Sarebbe paradossale. Occorre, dunque, intervenire con determinazione e far conoscere le iniziative che si assumono. Temporeggiare sarebbe deleterio, a maggior ragione se lo si facesse pensando a un do ut des sui conti pubblici, in cui il des sarebbero l’indulgenza e la flessibilità. Lo stesso bisognerà fare con il Fiscal compact. L’orientamento che appare essere in via di assunzione da parte del partito di maggioranza relativa, il Pd, sarebbe quello di superare tale accordo intergovernativo e tornare a Maastricht ancorandosi al parametro del rapporto deficit/pil quivi fissato nel 3%. Ovviamente l’operazione è complessa sia dal punto di vista giuridico sia, ancor di più, da quello politico. Ma questa sarebbe la strada da seguire. Non vi sarebbe, allora, alcun bisogno della predetta confluenza. MF-Milano Finanza è stato il primo giornale a sostenere, da anni, la necessità di abrogare il Fiscal compact che, per di più, confligge con i Trattati fondativi dell’Unione. Sulla base delle rigorose argomentazioni al riguardo di un grande giurista, Giuseppe Guarino, abbiamo tratto la certezza di essere nel giusto. Ora, però, è venuto il momento di agire, preparando la scadenza di fine d’anno. Una prova da cui si trarrà anche un giudizio sul peso europeo del governo e sulla sua credibilità.

(Articolo pubblicato su MF, Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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