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Esiste una frontiera latina nella ricerca economica. Parola del prof. Bruni (Lumsa)

Esiste una via mediterranea, cattolica e latina nella frontiera della ricerca economica, che vada oltre Adam Smith e che sia capace di intrigare, e allo stesso tempo di soddisfare, le pulsioni critiche verso quel capitalismo che, sempre più anche da parte cattolica, viene riempito di improperi e che spesso, per alcuni sicuramente troppo, viene colpevolizzato di ogni male e tacciato di ogni nefandezza? A rispondere al quesito in maniera affermativa è da tempo Luigino Bruni, economista, saggista prolifico, docente alla Lumsa di Roma e fino al 2012 alla Bocconi, co-fondatore assieme a Stefano Zamagni della scuola di economia civile, e quindi strenuo sostenitore di quest’impostazione teorica nel dialogo odierno tra economisti.

L’ECONOMIA CIVILE DI LUIGINO BRUNI, DA GENOVESI A VICO

“L’operazione essenziale di Smith è di trasformare l’interesse individuale da vizio a virtù, e non intendeva di certo associarlo a un vizio. Io penso invece che ci sia un conflitto abbastanza radicale tra la virtù e gli incentivi”. È quanto l’economista ha affermato durante il convegno internazionale “Alternative costruttive in una fase di sconvolgimenti globali”, organizzato dalla Fondazione CAPP in Vaticano. Una tesi classica che risale almeno al settecento italiano e europeo, sostiene Bruni, cioè “all’antropologia tomista che ha retto il pensiero dell’economia civile italiana”, con “pensatori come Antonio Genovesi o Gianbattista Vico”. Che dice che “l’essere umano ha due forze primitive, gli interessi e le virtù, ma che se si utilizza solo il primo la persona viene totalmente sbilanciata perché non si rafforzano le seconde, per le quali si usa il premio, come scritto anche in un famoso libro di Giacinto Dragonetti. Distinzione classica che abbiamo completamente perso”.

“LA VISIONE DI SMITH NON È MAI STATA QUELLA MEDITERRANEA, CATTOLICA, CIVILE”, DICE BRUNI

La tesi è cioè che l’incentivo (tradotto: l’interesse) crea un comportamento che altrimenti non ci sarebbe, e lo fa per mezzo di una motivazione estrinseca. “Questo ha molto a che fare con la riforma protestante, e in particolare con l’etica luterano-calvinista, cioè di questo pessimismo antropologico che crede che l’essere umano in realtà è incapace di virtù, soprattutto nella sfera pubblica”. E “in tutto il racconto della mano invisibile, da ricondurre prima di Smith a francesi giansenisti come Boisguilbert o Mandeville, si incarna un pessimismo antropologico persino maggiore di quello di Lutero”. Che dice: “Se non ci sono le virtù bastano gli interessi, purché qualche meccanismo li trasformi in pubbliche virtù”. Visione che però “non è mai stata quella dell’economia mediterranea, cattolica, civile. Noi da un po’ di anni, ormai una ventina, cerchiamo di dire che esiste una via latina e mediterranea all’economia, che non è l’economia politica di Smith ma che ha la sua dignità, e che ha in Tommaso d’Aquino e nella grande visione della socialità umana la sua radice e la sua origine”.

PER BRUNI “L’INCENTIVO NON HA NIENTE A VEDERE NÈ CON LE VIRTÙ NÈ CON IL PENSIERO CLASSICO”

La parola incentivo infatti, ricorda il professore, viene dal latino incentivus, il flauto che nell’orchestra medievale accordava gli strumenti, ma anche da incantesimo, e che quindi “mi porta a cose che non farei liberamente e spontaneamente: allinea, accorda, intona gli obiettivi del principale con quelli dell’agente, che altrimenti farebbe altro”. Portando via la ragione del lavoro da dentro la “cosa”: “Nel mondo pre-moderno una bottiglia andava fatta bene perché il lavoro vi era inscritto, e si poteva riconoscere. L’incentivo invece lo porta fuori: lavoro bene solo se sollecitato o controllato. Che con le virtù non ha niente a che vedere”. Problema alla radice del fatto che oggi “viviamo un’era di fortissimo riduzionismo antropologico”. “Si dice che, se lo paghi, dall’essere umano si può ottenere tutto: discontinuità molto forte col pensiero classico, dove si sosteneva che le persone fanno le cose bene perché ne hanno la vocazione. Che il lavoro ben fatto fa parte cioè dell’essere umano e non è legato all’incentivo”. E oggi vediamo di conseguenza il dominio di quest’idea “a livello di teoria economica, ma soprattutto manageriale: scuola, sanità, università, accademia, filantropia”.

IL LAVORO IN LABORATORIO CON GLI STUDENTI: “GLI ESSERI UMANI SONO CAPACI DI COSE GRANDI NON SOLO PER INTERESSE”

Il professore Bruni sta così lavorando assieme ai suoi studenti della Lumsa di Roma, ma anche in Germania o in Sardegna, su degli esperimenti di laboratorio che utilizzano questa distinzione tra premi e incentivi, nel tentativo di testare la loro efficacia su comportamenti di tipo pro-sociale: “Siamo convinti di dover recuperare una visione antropologica più grande. Questo impoverimento antropologico dà una visione del lavoro molto povera e sbagliata, che non risponde alla realtà. Gli esseri umani sono invece capaci di cose molto grandi non solo per denaro ma anche per virtù. Distinzione tutt’altro che antica, ma che è esattamente la frontiera della ricerca di oggi”.

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