“La commissione Ue promuove l’Italia”: ci risiamo, si ripete il rito periodico delle pagelle, trimestre dopo trimestre, nemmeno fossimo a scuola. Sarebbe ora di mettere fine a questo monotono ripetersi del sempre uguale. E che dire delle raccomandazioni buone a riempire pagine di quotidiani o minuti di telegiornali, a rinfocolare il chiacchiericcio dei talk show, a mettere in scena il solito teatrino dei pupi: Matteo Salvini che se la prende con la dittatura di Bruxelles, Beppe Grillo che replica con un solenne “menefrego”, Matteo Renzi che mostra i compiti a casa freschi di inchiostro, e via via sceneggiando.
Intendiamoci, la Commissione europea ha tutto il diritto di tenere sotto controllo le politiche di bilancio degli Stati membri, soprattutto quelli che battono la moneta unica e ha il dovere di accendere la luce rossa quando vengono violati i patti liberamente sottoscritti dai governi e avallati dai parlamenti dei vari Paesi. Ma oggi bisogna prendere atto che siamo entrati in una fase nuova la quale richiede contenuti e procedure nuove.
La recessione è finita e sta finendo anche la deflazione. I prezzi riprendono a salire verso il 2% (obiettivo della Bce) insieme al prodotto lordo, ma non salgono ovunque in sintonia. Ci sono Paesi muli, Paesi cavallette e Paesi lumaca, quindi occorre che le politiche economiche siano diverse a seconda delle situazioni. In generale, l’Eurozona che esce dalla crisi ha bisogno ovunque di una strategia comune di rilancio (o reflazione per usare un termine tecnico), ma poiché non esiste un bilancio federale né un governo dell’economia, questa linea di condotta si realizza meglio in modo decentrato e diversificato a seconda dei Paesi e delle aree geo-economiche. La Commissione, dunque, non dovrebbe insistere a propinare a tutti la stessa medicina, al contrario c’è bisogno di terapie ad hoc e di cure per così dire à la carte.
Fuor di metafora, l’Italia cresce poco, ha troppo debito, ma soprattutto continua a registrare una produttività calante. E’ l’unico Paese in cui il reddito risulta ancora inferiore a quello registrato prima della Lunga Recessione, è evidente che non può (e non deve) seguire le stesse regole di condotta della Francia la quale, pure, deve fare riforme strutturali, tornare a un disavanzo pubblico inferiore al tre per cento, ridurre una spesa corrente tra le più alte d’Europa (56% del pil), ma ha un debito pubblico inferiore al 10% del pil, la produttività del lavoro è la stessa della Germania e il reddito pro capite è cresciuto del 2% rispetto al 2007.
In una Italia che ristagna, la più stupida delle raccomandazioni è quella di aumentare le tasse. E’ vero, la Commissione parla di imposte sulla prima casa calcolate in modo progressivo, cioè reintrodurre l’IMU, ma facendola pagare di più ai ricchi. Ora, al di là della ovvia osservazione che queste cose non spettano a Bruxelles, a norma di Trattati, ma ai singoli governi nazionali, è evidente che l’impatto sull’Italia sarebbe negativo, cambierebbe le aspettative dei più ricchi i quali si metterebbero alla ricerca dei tanti modi per sfuggire alla nuova tassa e congelerebbe quelle dei più poveri sicuri che loro, al contrario, non potrebbero sfuggire.
Può darsi che sia più razionale e più equo spostare la imposizione fiscale sulle proprietà e sull’acquisto di beni, ma non è questo il momento e in ogni caso una simile manovra va accompagnata da una riduzione del carico fiscale sulle persone (in modo progressivo, ma generalizzato) e sul lavoro. L’effetto globale deve essere una riduzione netta della pressione fiscale coperta da una parallela riduzione della spesa corrente, in un paese come l’Italia che ha bisogno di una doppia spinta dal lato della domanda privata (consumi e investimenti) e dell’offerta (produttività).
Si può giustamente recriminare sulle occasioni mancate, sul fatto che la flessibilità concessa da Bruxelles non sia stata messa a frutto, che i governi italiani dopo aver solennemente approvato il pareggio del bilancio come norma costituzionale, ha continuato a spendere in deficit. Ma recriminare non serve a nulla. Siamo entrati in una fase diversa che richiede atteggiamenti adeguati.
Non si tratta di propinare lezioncine di politica economica. Ci sono i professori e i ministri per questo. E’ importante piuttosto mettere sul tavolo l’idea che la Commissione deve cambiare passo e linea di condotta, per adeguarsi alla nuova situazione economico-politica. La stessa vittoria di Emmanuel Macron dovrebbe suggerire che è arrivata l’ora di allentare le briglie sul collo dei governi. La reflazione non si fa in un solo Paese, neanche se questo si chiama Germania. Che cento fiori fioriscano. I commissari di Bruxelles debbono essere arbitri, hanno fatto i giocatori in tutti gli anni della crisi e spesso hanno anche giocato male, adesso debbono limitarsi a controllare dall’esterno, in attesa che dopo le elezioni tedesche, se confermeranno come sembra per la quarta volta Angela Merkel, arrivi il momento di riscrivere le regole, lo “stupido” (così parlò Romano Prodi) patto di stabilità e i Trattati visto che a questo punto la loro revisione non è più un tabù nemmeno per i tedeschi.