L’elezione dell’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti a presidente della Conferenza episcopale italiana è un cambio di rotta niente affatto scontato e neppure così traumatico rispetto alla stagione di Angelo Bagnasco che lascia circonvallazione Aurelia dopo dieci anni. Non è scontato perché l’arcivescovo di Perugia ha compiuto 75 anni in aprile, che è l’età della pensione per i vescovi. E va a sostituire un porporato di un anno più giovane. Papa Francesco aveva già rinnovato Bassetti alla guida dell’arcidiocesi umbra, pubblicandone ufficialmente la stima. Ma non è neppure un passaggio traumatico rispetto alla linea della Cei, perché il cardinale tosco-romagnolo non è così incasellabile tra le schiere dei vari “partiti” ecclesiali. Il fatto che sia stato il più votato dai confratelli, osserva il vaticanista Andrea Tornielli, “offre un segnale di vicinanza al Papa e al tempo stesso individua una personalità stimata, che sarà in grado di guidare la Cei tenendo conto delle sensibilità di tutti, senza isolate fughe in avanti né nostalgie per il passato”.
LA PRIMA VOLTA: I VESCOVI PROPONGONO E IL PAPA SCEGLIE
A differenza delle conferenze episcopali degli altri Paesi, i presidenti della Cei sono sempre stati nominati direttamente dal Papa, che dell’Italia è Primate. Francesco ha chiesto di rivedere la questione, sfociata in una soluzione intermedia: i vescovi delle 226 diocesi votano preventivamente una terna di candidati da sottoporre al pontefice cui è lasciato il potere di nomina, scegliendo tra i tre o anche al di fuori. La prima volta del nuovo meccanismo si è svolta velocemente, martedì mattina. La terna è stata eletta in tre sessioni separate di voto. Al ballottaggio della prima, Bassetti ha ottenuto 134 preferenze; alla seconda, il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, ha incassato 115 voti; alla terza, 126 preferenze sono andate al cardinale Francesco Montenegro di Agrigento. Di norma la Cei non rende pubblici gli esiti numerici delle sue votazioni interne. Questa volta è andata diversamente e su quella per la carica più importante. Una trasparenza chiesta dallo stesso Papa sull’esempio di quanto aveva voluto fosse fatto durante i sinodi sulla famiglia? La scelta di Francesco è stata comunicata mercoledì mattina dal presidente uscente Bagnasco al termine della concelebrazione dei vescovi nella Basilica di San Pietro.
ALTRI VOTI E INDISCREZIONI
Tutti e tre i nomi entranti nella terna erano circolati alla vigilia. Nessun voto sarebbe andato ad un altro dei favoriti, il vescovo di Fiesole, Mario Meini, che alcuni osservatori davano come il candidato del segretario generale Nunzio Galantino. Galantino non è entrato nel gioco dell’elezione perché da Statuto è previsto che la presidenza sia affidata ad un vescovo titolare di diocesi, che lui ha lasciato per occuparsi a tempo pieno della Conferenza episcopale. Stando a quanto riporta il web magazine FarodiRoma, qualche consenso lo hanno raccolto il cardinale di Firenze, ed ex segretario ai tempi di Ruini, Giuseppe Betori (42 preferenze) e l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte (11 preferenze).
UN PASTORE DALLE COLLINE TOSCO-ROMAGNOLE
Nato a Popolano, paesino del comune di Marradi arrampicato sull’Appennino tosco-romagnolo, Bassetti è originario di una famiglia modesta. Babbo Arrigo era bracciante, mamma Flora casalinga. “Ho lasciato la mia casa all’età di 14 anni e non vi ho fatto più ritorno, se non per brevi periodi di vacanza”, ricordava il cardinale in una intervista a Credere. “Osservare i miei parroci nelle povere contrade dell’Appennino mi aveva sempre dato un grande esempio di fede e di abnegazione. Stavano tutti i giorni tra la gente, disponibili ad ascoltare e aiutare chiunque”, racconta rivelando i primi germi della vocazione al sacerdozio: “Erano tempi duri. E questo mi consente di riflettere sulle cosiddette nuove povertà, morali e materiali, e su quanto l’epoca attuale confermi la mia vocazione e il desiderio di essere di aiuto come quei poveri parroci di allora”. Dimostra meno anni dei suoi 75. Guida l’auto da sé e visita periodicamente i poveri, gli ammalati (due volte a settimana gli fa visita in ospedale) e le fabbriche. Il fatto che abbia celebrato messa nella forma straordinaria ne fa un presule attento anche a quei tradizionalisti liturgici a cui certi ambienti ecclesiali guardano con sospetto e fastidio.
L’INATTESA NOMINA CARDINALIZIA
Giovane prete soccorre gli alluvionati di Firenze, con un coraggio e un’incoscienza giovanile – dirà – che vorrebbe avere anche oggi che è cardinale, ma “con più forza, più iniziativa e più saggezza”. Nominato vescovo da Giovanni Paolo II, dal 1994 ha guidato la diocesi di Massa Marittima-Piombino, dal 1998 quella di Arezzo, dove rimane fino al 2009 quando Benedetto XVI lo destina a Perugia. Conosce la Cei, di cui è stato vicepresidente per l’Italia centrale. E conosce la Curia romana, dove nel 2013 Francesco lo ha chiamato a membro dell’importante Congregazione per i vescovi in sostituzione del cardinale Bagnasco. Un cambio che fece molto discutere e già delineava la preferenza di Bergoglio per don Gualtiero. Il Papa lo ha creato cardinale nel suo primo concistoro, il 22 febbraio 2014. Uno scossone per la Chiesa italiana. In quell’occasione Bassetti fu l’unico vescovo residenziale italiano a ottenere la berretta e Bergoglio lasciò – e tuttora lascia – senza porpora diocesi tradizionalmente cardinalizie come Torino e Venezia. Premiò invece Perugia, che non aveva avuto un cardinale dai tempi di monsignor Pecci, poi Leone XIII. Alla notizia della nomina, il neo cardinale si espresse così: “Quando certe così così grandi cadono sulla testa di un due di briscola come me è chiaro che si rimane sconcertati”. Francesco gli ha affidato le meditazioni della Via Crucis al Colosseo del venerdì santo 2016.
SCHIERATO COL FAMILY DAY
Il cardinale ha fatto sue le istanze del Family Day del gennaio 2016. Quando l’episcopato si muoveva in ordine sparso – incerto se e come schierarsi – al termine di una messa celebrata in Duomo lesse l’appello del comitato promotore della manifestazione al Circo Massimo facendolo proprio. Il tema della famiglia e dell’accompagnamento delle coppie, prima e dopo il matrimonio, gli sono particolarmente cari. Ha partecipato al Sinodo 2015, come membro di nomina pontificia.
FORTE SUI PRINCIPI, VICINO ALLA GENTE
Non ha mai arretrato di un passo nella difesa dei valori, pur insistendo sulla necessità di “dialogare con la cultura di oggi”. Ha stigmatizzato con forza qualsiasi equiparazione tra testamento biologico e eutanasia. Dopo la morte per eutanasia di dj Fabo, in una intervista a Vatican Insider ha sottolineato come si viva in una cultura dello scarto dove “c’è chi finisce col credere di essere soltanto un peso”. Ribadiva che la “vita è sempre un grande valore”, ma prima di tutto aveva espresso “vicinanza alla famiglia nel dolore e al giovane Fabiano che non è più tra noi”.
ANTICIPATORE DI FRANCESCO
Dell’aborto ha detto che “non è mai un diritto”, notando i limiti della 194, non applicata nella prima prima parte che riguarda la tutela della vita e la prevenzione. Di qui l’appello perché “istituzioni e società civile favoriscano una legge che sostenga chi è davvero in uno stato di necessità e di fragilità dal momento che molte interruzioni volontarie di gravidanza sono legate a fattori economici o di emarginazione”. Quindi il richiamo a sostenere i consultori d’ispirazione cristiana “dove è possibile conoscere percorsi e servizi per portare avanti la gravidanza”. Nel 2001, quando era ancora ad Arezzo, pubblicò delle linee guida che hanno anticipato quelle rese universali per tutta la Chiesa da Papa Francesco, concedendo a tutti i sacerdoti la facoltà di rimettere in confessione la scomunica latae sententiae relativa all’aborto.
LA POSIZIONE SUI MIGRANTI
Scriveva in un editoriale del luglio 2016: “Anche se il presente assume le sembianze fosche degli attentati terroristici o dei ritratti sfigurati dei rifugiati che fuggono dalle loro case, occorre avere la fede e il coraggio di non aver paura del futuro”. Dalle colonne dell’Osservatore Romano di domenica, sotto un articolo dedicato all’Europa e la pace, si è soffermato sulle paure di vivere in una società senza identità, sempre più complessa e plurale. Sulla paura dell’altro perché non lo si riconosce più come nostro simile. Sulla paura soprattuto nei confronti del forestiero, diventato “capro espiatorio di tutti i mali della nostra società”. L’immigrazione – sottolinea – “non va affrontata innalzando muri, ma favorendo l’integrazione”. È stato tra i primi vescovi ad accogliere l’invito di Francesco all’accoglienza di profughi nelle strutture diocesane e parrocchiali. È a favore della cittadinanza per i figli di immigrati che nascono in Italia.
NIENTE SCONTI ALLA POLITICA, L’ATTENZIONE AL LAVORO
Alla politica ha chiesto un “sussulto profetico”, ad esempio contro la prostituzione, il gioco d’azzardo che manifesta “l’inquietudine del nostro tempo” e brucia le famiglia, per la legalità. Ha tuonato contro lo shopping domenicale, invitando a riscoprire “il valore della festa e del riposo”. Ha l’abitudine di visitare le fabbriche della sua diocesi almeno due volte l’anno, in Quaresima e Avvento. “Il lavoro è la persona: una persona senza lavoro è una persona senza dignità”, ha detto, paragonando la mancanza di lavoro alla mancanza di salute. Condanna la speculazione finanziaria: “Con la globalizzazione si è sviluppato un sistema finanziario che passa sulla testa di tutti noi, al di sopra dell’economia produttiva. Si subordinano molte cose al dio-quattrino”. Rivolgendosi agli operai in una occasione ha promesso: “I vostri problemi sono i miei, sono i problemi della Chiesa”.