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Populismo, visioni e divisioni tra Tremonti, Freccero e Jan-Werner Müller

Giulio Tremonti

Sono ormai passati diversi anni dal momento in cui il “populismo”, democrazia dopo democrazia, è diventato non solo uno dei principali temi di studio degli analisti politici, ma anche terreno comune di dibattito e, altrettanto spesso, urgenza a cui dover fornire risposte. Eppure si fa ancora fatica a darne una rappresentazione unitaria ed esaustiva. Forse perché non è del tutto possibile, oppure perché investe anche terreni di studio lontani dalla teoria politica. Tuttavia, la prima domanda che ci si continua a porre è: il populismo è la “voce autentica della democrazia” oppure è il suo effettivo stato di crisi?

IL LIBRO DI JAN-WERNER MULLER, DOCENTE ALLA PRINCETON UNIVERSITY

Nel suo libro “Che cos’è il populismo?” (Università Bocconi Editore) il prof. Jan-Werner Müller, docente di Teoria politica alla Princeton University, lo spiega bene: i populisti sono “antielitari, antipluralisti e si presentano come gli unici rappresentanti del popolo”, scrive Müller. Rivendicano la “rappresentanza esclusiva” non in maniera “empirica”, ma “morale”. Ritraggono gli avversari come “immorali e corrotti”, e quando vanno al potere “non riconoscono alcuna opposizione come legittima”. Affermano che “chiunque non li sostenga” non possa “far parte del popolo morale e virtuoso”. Ed esistono populismi “di destra e di sinistra”, osserva Müller.

LA TAVOLA ROTONDA AL CENTRO STUDI AMERICANI

Analisi con cui però non sembra essere del tutto d’accordo l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, intervenuto ieri 25 maggio alla tavola rotonda organizzata dal Centro Studi Americani assieme allo stesso prof. Müller, al massmediologo Carlo Freccero, allo scrittore de La Civiltà Cattolica Francesco Occhetta, e moderata dal giornalista del Corriere della Sera Tommaso Labate, dopo i saluti introduttivi del direttore del Csa, Paolo Messa. “Caduto il muro di Berlino, e finito il comunismo, un’élite illuminata ha seguito questa logica: è l’anno zero dell’umanità e dobbiamo creare l’uomo nuovo, politically correct e lontano dalla tradizione”, ha detto Tremonti.

TREMONTI: “PIÙ CHE PARLARE DI COM’È, PARLEREI DI COME POTREBBE DIVENTARE”

“Venticinque anni in cui è cambiata la struttura del mondo, che oggi si è realizzato sulla rete, nella globalizzazione, con un’ideologia precisa, che se non la si considera non si capisce la crisi che parte da allora. Se c’è il populismo c’è infatti anche una causa, che è l’élitismo”, ha chiosato Tremonti. E l’Europa, ha proseguito, è questo: “Un disegno che viene giù, una cattedrale di nuove regole che oggi perde fedeli e si sgretola. Certamente il populismo non è una cosa positiva, ma credo che si debba considerare anche l’altro lato”. Vale a dire “il mondo verso cui stiamo andando”, considerati “l’invecchiamento della popolazione” e gli “effetti devastanti della rivoluzione digitale”: “più di parlare di com’è il populismo, parlerei di come potrebbe essere”, ha concluso Tremonti.

LE CONSIDERAZIONI DI FRECCERO: “LE ÉLITE RIFLETTANO SUI LORO FALLIMENTI”

Considerazioni cui Freccero ha così fatto eco: “La rete ha trasformato la controinformazione in complotto”, ha affermato. “I media hanno bisogno di storytelling e non di pensiero complesso, così che l’informazione si trasforma in un racconto fantascientifico”. Fenomeno che “si incrocia con la crisi economica, che ci mostra il fallimento dell’élite soprattutto di fronte alla complessità del mondo digitale”, che “richiede un QI elevato e chi non ce l’ha viene escluso”. Èlite che per Freccero “trova in Europa il suo pensiero in Macron”, e in Italia, “lo anticipo, in Calenda”. E che viene “messa in discussione perché la loro verità entra in crisi, come dice la teoria popperiana della falsificazione”. “È vero che il populismo è rozzo e identitario, ed è giusto difendersi”, ha concluso Freccero: “Ma il loro successo è sempre legato alla falsificazione della verità, e io vorrei tanto che le élite si dimostrassero tali riflettendo sui loro fallimenti”.

LE CONCLUSIONI DEL LIBRO SU “CHE COS’È IL POPULISMO”

Tuttavia, in definitiva, la tesi contenuta nel libro del prof. Müller è che il populismo mette in pericolo la democrazia, che prevede il pluralismo e “la consapevolezza di dover viver insieme come cittadini liberi”: l’idea “del popolo unico e autentico è una fantasia, questo può esistere solo nella sua pluralità”, scrive ancora Müller. “Una fantasia pericolosa, perché i populisti amano il conflitto e trattano gli oppositori come nemici del popolo”. E soprattutto, “i populisti governano da populisti”. Giustificano cioè la loro condotta “sostenendo di essere gli unici a rappresentare il popolo”, e “i loro seguaci pensano: lo stanno facendo per noi”.

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