Nel 2008, Alitalia pubblica si trovava in forte difficoltà, così come quella privata attuale. La politica decise di fare un prestito ponte di 300 milioni di euro nell’aprile che venne perso definitivamente dal contribuente nell’agosto del 2008. Ora si prestano 600 milioni di euro pubblici che non verranno restituiti e serviranno solo a prolungare l’agonia della compagnia.
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Di seguito, pubblichiamo un estratto del libro dell’economista Andrea Giuricin “Alitalia, una privatizzazione infinita” del febbraio 2009
Il Consiglio dei Ministri del 22 aprile 2008 approvò un prestito ponte di 300 milioni nei confronti della moribonda Alitalia. L’entità di questo prestito fu molto superiore a qualunque previsione. Il premier Romano Prodi lo giustificò con il fatto che la cifra sull’assegno sarebbe stata indicata dal futuro Primo ministro Silvio Berlusconi.
Il decreto legge che istituiva tale prestito era costruito in modo tale che venisse minimizzato il rischio di un rigetto da parte dell’Unione europea: la somma disposta in favore di Alitalia le consentiva di far fronte ad immediati bisogni di liquidità ed era erogata con caratteristiche di mercato a brevissimo termine. Esso doveva essere rimborsato entro il 31 dicembre 2008 e maggiorato di un tasso di interesse nella misura specifica prevista dalla legislazione comunitaria.
C’era da domandarsi se questa erogazione, a condizioni di mercato, sarebbe stata possibile con un attore creditizio privato. La risposta era certamente negativa, perché nessun investitore privato avrebbe prestato un euro ad una società che continuava ad operare in perdita, dove i sindacati e i politici avevano un potere di decisione superiore al management e senza nessun acquirente reale in vista.
Lo stesso commissario europeo ai trasporti, Jacques Barrot, tramite il suo portavoce Michele Cercone, il 24 aprile 2008, due giorni dopo il Consiglio dei Ministri, affermò che l’Unione europea avrebbe valutato se tale prestito si prefigurasse o meno come un aiuto di Stato.
Chi scrisse il decreto per effettuare il prestito ponte non tenne conto del fatto che un finanziamento viene considerato un aiuto di Stato anche quando è fatto a condizioni di mercato, nel caso il debitore non sia ritenuto sufficientemente solido. La stessa licenza di volo di Alitalia era a rischio tanto che l’ENAC, il 22 aprile, programmò delle riunioni con la compagnia italiana per i giorni seguenti al fine di compiere un’analisi economico-finanziaria del vettore e verificare le condizioni di soddisfacimento del regolamento comunitario n. 2407/92.
L’ENAC avrebbe dovuto rilasciare ad Alitalia una licenza provvisoria in attesa della ristrutturazione della compagnia, ma questo non avvenne per molti mesi, nonostante le norme comunitarie lo imponessero. Ancora una volta l’ENAC entrò nella vicenda Alitalia non come regolatore, ma come attore politico a tutti gli effetti.
Il concetto di ristrutturazione aziendale italiano rischiava dunque di scontrarsi con la visione europea di aiuto di Stato. Il prestito ponte aveva tutte le carte in regola per essere rigettato a livello europeo e così fu.
Il Presidente del Consiglio uscente, Romano Prodi, giustamente definì come un atto di grande responsabilità questo prestito: la responsabilità della politica è infatti enorme e nel caso Alitalia riguarda il fallimento dello Stato imprenditore. Questo fallimento era ancora più chiaro nell’analisi delle motivazioni della concessione del prestito. Individuandone due, risultava credibile solo la prima.
Essa era relativa al mantenimento della continuità operativa per consentire l’assunzione dei pieni poteri del nuovo governo; il futuro premier, avendo invocato in campagna elettorale una “cordata italiana”, si trovava a dover risolvere il problema.
La seconda motivazione riguardava invece il fatto che il prestito era volto a garantire «un servizio pubblico essenziale al fine di evitare l’interruzione della continuità territoriale e problemi di ordine pubblico». La continuità territoriale non era certamente salvaguardata salvando con denaro pubblico un’azienda inefficiente.
La dichiarazione del Consiglio dei Ministri era la riprova del fallimento dello Stato imprenditore, perché la continuità era già tutelata tramite gli oneri di servizio pubblico i quali devono rispettare norme europee. La paura che la bancarotta di Alitalia avrebbe lasciato scoperte alcune rotte era infondata: tali rotte potevano essere effettuate da altri vettori. Gli oneri di pubblico servizio servivano appunto a garantire il mantenimento delle rotte non profittevoli.
L’altra scusa, non potendosi definire diversamente, era relativa all’ordine pubblico. Se davvero ci fosse stato un rischio di ordine pubblico in caso di fallimento, saremmo stati in presenza non solo del fallimento dello Stato come imprenditore, ma anche in presenza del fallimento dello Stato tout court, come garante dell’ordine pubblico. Nella prossima tabella sono riportate le caratteristiche del prestito ponte che avrebbe dovuto “assicurare” il pubblico servizio di trasporto aereo.
La scadenza del 31 dicembre 2008 è arrivata, ma lo Stato non ha avuto indietro i soldi prestati all’Alitalia.