Il 7 aprile scorso ho avuto il piacere di presenziare, allo spazio Alda Merini di Milano, un incontro su Bob Dylan insieme a Goffredo Sdrubolini (Tim) e con la partecipazione dei musicisti Massimiliano Ghirardinelli, Ilaria Pulici e Antonio Cirio. Abbiamo intitolato l’evento “Può un’esibizione rock essere un momento di poesia?”
È stato un confronto continuo di domande e risposte. Pur essendoci un filo conduttore (la lettura di alcuni testi), abbiamo preso a prestito il titolo di un vecchio album di Lou Reed – Growing Up In Public – e cercato appunto di “crescere col pubblico” e seguire gli spunti e le osservazioni di chi ha voluto partecipare alla conversazione.
Vorrei soffermarmi sulla domanda che più di tutte mi ha messo in difficoltà: “Che cosa ha Bob Dylan da offrire a un giovane oggi?”. Mi ha spiazzato. Dopo aver cominciato a sudare abbondantemente, ho più o meno risposto che secondo me Dylan ti insegna a ragionare con la tua testa e a prendere le tue decisioni consapevole dei rischi che stai affrontando e delle reazioni contrarie con cui ti dovrai misurare.
Non dimentichiamo che Bob Dylan non è un nome d’arte e lui decide di chiamarsi così all’anagrafe prima ancora di pubblicare il suo primo disco, quando ancora non era nessuno. Che effetto può aver avuto sui suoi genitori? Questo è solo l’inizio di una carriera da bastian contrario che lo vede passare dal folk al rock al country, rinunciare a Woodstock, convertirsi al cristianesimo, ritornare all’ebraismo, mettersi a cantare Sinatra e rinunciare alla cerimonia del Nobel, forse perché – come dice una sua famosa canzone – “non è a lui o a lei o a loro o a questo che tu appartieni”.
Così è stata più o meno la mia risposta. Ma ora vorrei andare oltre e dire che a un giovane lui può insegnare – in quest’epoca di conformismo – che tu puoi sfuggire al controllo delle imposizioni, disobbedire alle aspettative, e soprattutto vincere.
Facciamo attenzione. Viviamo una realtà in cui è facile illudersi di andare controcorrente, cullati da un ideale di falsa trasgressività che diventa la nostra sconfitta. Cerco di spiegarmi: negli anni ottanta/novanta i messaggi pubblicitari subiscono una trasformazione diventando mille volte più efficaci perché non invitano più l’individuo a far parte del gruppo (il gruppo di chi beve Coca cola o mangia il gelato Algida). No, ora ti invitano ad essere speciale, fuori dal coro. È ovvio che c’è qualcosa che non va, i conti non tornano. Come fai ad essere unico e irripetibile se poi compri la stessa cosa che comprano altri milioni di persone? Ecco, secondo me la nostra sconfitta comincia proprio lì, se pensiamo di essere trasgressivi proprio mentre ripetiamo le stesse azioni che ci vengono richieste per essere “trasgressivi” a tutti i costi.
Dylan scardina questo meccanismo semplicemente perché ha il coraggio di fregarsene. Se hai una vocazione – ce l’abbiamo tutti e di solito la scopriamo da giovani – seguila! La vocazione è quello per cui sei portato. Capita spesso che venga ostacolata. Può capitare, tanto per fare un esempio, di avere dei genitori avvocati desiderosi di trascinarti sulla loro strada, mentre tu segretamente vorresti diventare un giardiniere o un karateka.
Io vorrei dire a mia figlia che se un giorno per spirito di conservazione o arteriosclerosi mi dovessi opporre al percorso della sua vera strada, non le sarà necessario cambiare cognome come ha fatto Bob Dylan ma spero saprà sorprendermi e capire dove stanno gli inganni come ha sempre fatto lui, che riguardo alle pubblicità ha scritto: “Ti raggirano convincendoti che tu sia/colui che può fare quello che non è mai stato fatto/che può vincere quello che nessuno ha mai vinto”.
Qui il mio ruolo di istruttore per mia figlia però si complica. Da un lato vorrei appunto spronarla a seguire le sue personali intuizioni nonostante i rischi annessi e le inevitabili critiche che riceverà. Dall’altro Dylan ha fatto e soprattutto vinto l’inverosimile anche grazie a un abile utilizzo dei media. E allora nel suo caso le pubblicità hanno davvero mentito o erano parte di un piano ben escogitato?
Io questa ambiguità non la so risolvere. Infatti questa canzone – It’s Alright, Ma – continua a ossessionarmi, e mi sa che non la capirò mai.