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Come si dividono gli Stati europei sul tipo di Brexit

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La definizione dei termini per l’avvio del negoziato sulle condizioni dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, a seguito del referendum sulla Brexit, ha offerto la scorsa settimana ai 27 Paesi dell’Unione Europea, riuniti a Bruxelles, una occasione graditissima, anche perché sempre più rara, di dare prova di unità e di compattezza.

Il messaggio che si è cercato di trasmettere ai popoli europei, ai quali le classi dirigenti raccontano prevalentemente storie false e vere e proprie bugie, è che la Gran Bretagna dovrà pagare fino all’ultimo euro la temeraria decisione di abbandonare l’Europa. C’è da chiedersi se il destinatario del messaggio fosse la Gran Bretagna o l’elettorato francese, che possa essere tentato, in vista del ballottaggio di domenica prossima, di votare per Madame Le Pen, o magari l’elettorato italiano sempre più ostile all’idea di Europa. In realtà, in alcuni ambienti europei, si vorrebbe trasformare il negoziato sulla Brexit in una lezione rivolta a chiunque, domani, voglia mettere in discussione la propria partecipazione all’Unione Europea o all’euro: il messaggio che si vorrebbe dare è che la decisione di partecipare alla costruzione europea è irreversibile e che chiunque si faccia venire dei dubbi è destinato a pagare un conto molto salato.

Personalmente ritengo che la rappresentazione messa in scena a Bruxelles sia più o meno una commedia ad uso delle opinioni pubbliche europee. In realtà, il negoziato per l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea non presenta problemi particolarmente difficili, e ancor meno insolubili. E’ chiaro che l’Inghilterra non potrà conservare tutti i vantaggi della partecipazione all’Unione, senza gli obblighi che ne derivano. Ma non converrebbe neppure all’Europa tagliare le relazioni e i rapporti fra il continente e l’Inghilterra. Del resto, oggi vi è già un’area di libero scambio con alcuni paesi come la Norvegia e la Svizzera che non fanno parte dell’Unione Europea, ma commerciano con noi in condizioni di grande libertà. Alla Gran Bretagna non potrà non essere assegnata una condizione analoga.

Vi sono certamente delle questioni finanziarie delicate da definire, dei debiti pregressi da sistemare, ma sono cose per le quali gli inglesi con il loro pragmatismo saranno pronti a suggerire soluzioni intermedie di compromesso. Il genio dell’Inghilterra come Paese negoziatore è assoluto e la Commissione Europea non ha nessun interesse a rendere più difficili i rapporti con un grande Paese come l’Inghilterra. Lo stesso vale per la Germania, la Francia e l’Italia prese individualmente.

Penso oltretutto che l’unità sia più di facciata che reale, nel senso che molti dei nuovi paesi membri – quelli dell’est europeo – abbiano più simpatia per le scelte inglesi che per il massimalismo del vecchio nucleo dei paesi fondatori o della Commissione Europea. E’ certo che, se insorgeranno delle difficoltà, la Gran Bretagna saprà sfruttare queste differenze per impedire il coagularsi di un fronte compatto contro di lei.

E l‘Italia? Noi non siamo la Francia che condivide con la Germania, quasi alla pari, il prestigio della guida politica dell’Unione Europea. Avevamo nella presenza dell’Inghilterra nell’Unione Europea un alleato contro le interpretazioni eccessivamente rigoriste delle regole europee e in certi momenti il governo italiano era sembrato accorgersene. Senza l’Inghilterra siamo più soli, ancor più in balia della Germania e della sua volontà di imporre una visione unica dell’Europa. Faremmo bene a capire che siamo fra i Paesi che più perderanno politicamente in conseguenza dell’uscita dell’Inghilterra. Ci converrebbe rendere meno duro il negoziato di chi vuole uscire. Perché? Perché domani potrebbe essere la sola strada possibile per un Paese come il nostro che non volesse rassegnarsi a un destino che sembra segnato.


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