Poco dopo l’incontro a porte chiuse fra il vicepresidente della Camera dei Deputati Luigi Di Maio e un gruppo selezionato di quindici studenti italiani di Harvard e MIT, l’Ash Center – il maggiore centro studio sulla democrazia della Harvard Kennedy School – ha ospitato un colloquio sul Movimento 5 Stelle e Rousseau, la piattaforma di democrazia diretta ideata dai grillini. Si tratta quindi non di una “lezione”, come i media italiani hanno ripetuto più volte, ma di un dibattito. L’interesse accademico per il Movimento 5 Stelle è chiaramente molto alto oggi e qui in America si guarda alla politica europea con tanta curiosità.
Il Dean accademico, il professor Anhor Fung, ha dato il benvenuto a Di Maio, presentandolo come possibile prossimo presidente del consiglio italiano, e lasciando trasparire quella che è opinione comune qui negli States: il M5S come espressione di una politica populista, non distante da tanti partiti anti-elite come Front National, Podemos o delle forze politiche che hanno reso possibile Brexit e Trump. Fung non ha neanche nascosto di aver ricevuto numerose lamentele per quest’incontro, ma ha anche precisato che Harvard è aperta ad ascoltare chiunque – indipendentemente dalle differenti visioni politiche – e ha ribadito l’interesse per un fenomeno politico unico che ha fatto dell’apertura al web uno dei suoi cardini.
Di Maio ha preso la parola, leggendo un discorso in inglese, e ha raccontato in breve l’esperienza del Movimento 5 Stelle, usando una narrativa che si distacca dalla retorica grillina tradizionale e ben più vicina a un modello di comunicazione istituzionale, più puntuale che provocatorio. La storia del Movimento 5 Stelle, come da blog sia diventato una forza politica italiana capace di competere con il PD, è stata raccontata dando enfasi a: l’esperienza di democrazia diretta, l’assenza di finanziamento pubblico, un codice etico, un approccio bottom-up alla politica e alle politiche.
Il tono del discorso è stato quello di mostrare con pacato orgoglio i risultati della scommessa politica di Grillo e Casaleggio, ma anche di presentare una nuova fase della azione politica dei Cinque Stelle alla ricerca di nuovi talenti e di direzioni da seguire nel medio e lungo periodo per il Paese, senza tralasciare le lotte politiche dei primi anni o i messaggi ricorrenti dei grillini: no alleanze con la vecchia politica di un sistema corrotto. Il tono del suo discorso è stato “quasi presidenziale” e i messaggi di fondo sono stati più vicini a una campagna elettorale di vecchio stampo basata su speranza, energia, futuro.
Per Di Maio, il Movimento 5 Stelle ha catalizzato la speranza in progettualità, mentre in altri Paesi, simili forze potenzialmente pericolose per la stabilità di una democrazia, hanno causato solo odio. I Cinque Stelle quindi non sarebbero populisti, ma fondamentalmente post-ideologici, perché alla ideologia del passato, che esiste ancora nella campagna di Le Pen e in Podemos, contrappongono i valori di legalità, democrazia e partecipazione.
Nel descrivere Rousseau – nuovo caso di quella progettualità politica “made in 5 Stelle” come ha detto Fung – Di Maio ha parlato del tentativo di coniugare un approccio dal basso e l’intervento di “esperti accademici” che dovrebbero supportare e affinare le proposte dei cittadini, come per Lavoro 2025, studio prodotto dai 5 Stelle sulla trasformazione del mercato del lavoro in Italia nei prossimi 7-8 anni.
Le domande dal pubblico sono state abbastanza dirette a mostrare i lati critici del Movimento 5 Stelle: euro, problema delle competenze e esperienze dei suoi membri, ecc. Molti hanno espresso preoccupazione per il riferimento a un’Italia che potrebbe uscire dall’euro ed è significativo che una domanda dal pubblico si sia conclusa con l’auspicio che un Di Maio presidente non voglia passare alla storia per esser un Cameron italiano.
Di Maio sull’euro ha detto: l’intenzione di un possibile governo a 5 Stelle è quella di proporre un referendum consultivo da approvare con legge costituzionale per far esprimere i cittadini sul Sì o No alla moneta unica. Questa sarebbe l’arma di negoziato da usare a “tutti i tavoli europei”, non per distruggere l’Unione o l’euro, ma per cambiarne natura e struttura. Se l’Europa è “democratica”, nel senso che la partecipazione è libera e i paesi possono entrare ed uscire nell’unione europea, questo principio – ha aggiunto – andrebbe applicato anche a una moneta unica. Che ha definito “euro democratico”.
Anche dopo i commenti di uno studente che in protesta ha voluto apostrofare come “fascismo” il movimento 5 Stelle, Di Maio ha risposto a tutto, dimostrando molta fermezza su alcuni punti che sembrerebbero essenziali per la politica dei 5 Stelle. Così ad esempio non ha esitato a rispondere a uno studente della Kennedy School, e membro delle forze armate Usa, dicendo di non condividere le parole di Trump sull’aumento della spesa militare che anche l’Italia dovrebbe sostenere nella Nato, o sul voler cambiare la politica estera negli interventi in territori del Medio oriente, come Afghanistan, da dove dovremmo ritirarci subito secondo il candidato premier in pectore dei 5 stelle. In altri termini la politica di un governo 5 stelle – secondo Di Maio – sarebbe quello di inviare contingenti italiani solo in operazioni di peacekeeping (vedi esempio Libano), mentre l’Italia non parteciperebbe a operazioni come quelle in Afghanistan. Di Maio, comunque, ha specificato che l’Italia non lascerebbe la Nato con un governo pentastellato.
Ma il messaggio che più è ritornato nelle domande del pubblico, fatto da studenti, professori italiani e stranieri, è stato: sono fattibili o no le proposte dei 5 stelle? Nel modello a 5 stelle, non si corre il rischio di dare ascolto alla pancia, senza un ruolo per pensiero e strategia? Una domanda risalta tra tutte e sembra esser condivisa da quasi ogni italiano che qui vive e studia qui, dedicandosi alla ricerca nei migliori atenei del mondo: il Movimento ha capacità e competenze per governare?