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Ecco come nasce il vulcano-rifiuti a Roma

Era stato un pilastro della campagna elettorale dei grillini a Roma e rischia di diventarlo anzitempo per il Pd di Matteo Renzi a danno, ovviamente, della città e della sua immagine nel mondo. Il problema dei rifiuti a Roma è per la seconda volta, in undici mesi di amministrazione, una grana per la sindaca Virginia Raggi. In una Capitale che produce ogni giorno 5.000 tonnellate di rifiuti, di cui circa 2.100 di differenziata (41,5% la percentuale ben lontana dal 70% preventivato entro il 2021, sia per la difficoltà sia per i costi) l’immondizia straripa dai cassonetti e invade i marciapiedi di alcuni quartieri provocando l’ira dei cittadini e gli attacchi politici delle opposizioni in Campidoglio. E cosi per ripulire la città Renzi organizza i volontari con magliette gialle e ramazze a sottolineare il contatto con il territorio (ma poi dove li metterà i rifiuti visto che il problema è la raccolta?) ma soprattutto sottolineando l’incapacità della sindaca del M5S e trasformando il problema in un’emergenza, ambientale e sanitaria, che effettivamente non c’è.

Ma al di là della Raggi, che pure ha ammesso “alcune strade sono sporche e i cittadini hanno ragione a lamentarsi”, le cause della grana “monnezza” arrivano da lontano: il ritardo con cui è stata avviata la differenziata rispetto ad altre città italiane ed europee; la chiusura, senza avere però un’alternativa, firmata dall’ex sindaco Ignazio Marino a fine settembre 2013 della discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, di proprietà del re della monnezza Manlio Cerroni (sotto processo per associazione per delinquere, truffa, falso e frode in relazione alle presunte irregolarità nello smaltimento e nella gestione dei rifiuti solidi urbani);  i centri per gestire i rifiuti indifferenziati passati da 4 a 2 funzionanti grazie al commissariamento imposto da Cantone perché sotto interdittiva antimafia. A questi problemi si aggiunge il fatto che AMA, l’azienda che si occupa dei rifiuti in città, oltre ad avere 7000 dipendenti, di cui 1.100 ogni giorno a casa per vari motivi, ha avuto diversi guai finanziari fino a rischiare il fallimento. Un contributo lo dà l’inciviltà di quei romani che buttano materassi o frigoriferi o divani a fianco al cassonetto e che poi sono gli stessi del “No nel mio giardino” e che scendono in piazza contro la costruzione di possibili termovalorizzatori nei loro quartiere. Ultimo motivo, ridicolo, del puzzolente degrado, i due “ponti” del 25 aprile e del 1 maggio con chiusura totale degli impianti, camion raccolta fermi e oltre 300 tonnellate di eccedenza.

“Un sistema fallimentare ereditato” sostiene la Raggi che ha lanciato accuse alla Regione, prontamente respinte dal presidente Zingaretti, su un piano di tre nuovi impianti mai approvato mentre Cerroni, tra un’udienza e l’altra, ripete “Senza di me i rifiuti saranno un problema per sempre. In tutto il Lazio non ci sono impianti idonei a soddisfare il fabbisogno giornaliero”. Anche perché pieni dei rifiuti delle altre province.

Insomma tra siti che dovrebbero trattare più di 120 tonnellate di rifiuti l’anno, la bocciatura degli ecodistretti con i termovalorizzatori, il ministro all’Ambiente Galletti che ripete “situazione intollerabile. A Roma rischiamo di andare in emergenza: i rifiuti non sono né di destra né di sinistra”, Virginia Raggi ha deciso tre mosse per ridare dignità alla città entro sabato: impianti aperti 24 ore su 24, straordinari per i dipendenti Ama, tre treni, anziché uno, diretti agli inceneritori dell’Austria senza costi aggiuntivi per il Comune visto che non sono mai stati raggiunti i limiti di trasferenza (e comunque le 70 mila tonnellate annue di immondizia romana si trasformano in energia elettrica che illumina 170 mila case austriache).

E se lo scontro politico tra Raggi e Zingaretti si è svolto soprattutto mediaticamente, la postilla la mette un ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli: “Governare una città è difficile e i tweet non bastano”.

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