Calma e gesso. Mi spiace per i soliti grillini e per l’altrettanto solito Pier Luigi Bersani, che è corso, di persona o in collegamento, in tutti i salotti televisivi possibili e immaginabili per rincorrere i pentastellati, fissato com’è ormai ch’essi siano suoi potenziali elettori, se mai lui riuscisse a creare e o a entrare nel partito giusto. Ma ho la sensazione che questa storia di Maria Elena Boschi, sbattuta su tutte le prime pagine dalle anticipazioni del libro autobiografico, o quasi, dell’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli, finirà in una bolla di sapone.
A soffiarvi sopra con tanta forza da cercare di farla scoppiare è stato lo stesso de Bortoli. Che, minacciato di querela dalla sottosegretaria tuttofare del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, e già ministra delle Riforme e dei Rapporti col Parlamento nel governo di Matteo Renzi, l’ha sfidata sì a denunciarlo, mostrandosi sicuro del fatto suo, ma ha anche smentito di averla mai voluta accusare di avere fatto “pressioni” sull’Unicredit guidata da Federico Ghizzoni perché acquistasse, salvandola, la moribonda Banca Etruria vice presieduta dal padre.
L’allora ministra insomma, secondo la rappresentazione ultima dello stesso de Bortoli, può avere chiesto, proposto, prospettato quel tipo di salvataggio della Banca così cara -si può dire?- per tante circostanze alla sua famiglia, ma non ha “premuto”. Così come si preme, o si spreme, quando si fa una raccomandazione. Sennò, la buonanima di Giulio Andreotti – che ne faceva e ne riceveva, da semplice deputato a ministro e a presidente del Consiglio, per non parlare di quando era “solo” capogruppo democristiano della Camera, non a decine, non a centinaia, ma a migliaia, se non a decine di migliaia, vista la sua lunghissima vita, politica e fisica- sarebbe rimasto appeso per la fatica al manico della spremitrice.
Siate onesti, per favore, almeno fra quanti avete -diciamo- più di trent’anni. A chi di voi o di noi non è capitato di fare o di ricevere una raccomandazione, o una segnalazione, di dare o ricevere delle referenze? Via, siamo realisti.
Ma la signorina Boschi, o signora, come sembra che sia più educato dire anche di chi non è ancora sposata, era allora una ministra, rispondono indignati i grillini, convinti che de Bortoli l’abbia colta, sia pure dopo due anni, in flagranza almeno di conflitto d’interessi. Ma il conflitto – potrebbe ben rispondere l’attuale sottosegretaria – si consuma o si configura quando si ottiene o s’impone quello che si cerca o si vuole. Quando non lo si ottiene, o non si riesce ad imporlo, e chi lo ha negato è rimasto al suo posto, non è stato ucciso da nessuno, né investito per caso neppure da un ciclista per strada, che conflitto c’è stato? Di che conflitto si parla?
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Il guaio per la signorina, o signora, Boschi però è che, pur disponendo di un argomento così valido e ragionevole, non lo ha usato e pare non voglia usarlo, non foss’altro per non contraddire ciò che in un’altra occasione, quando ne parlò in Parlamento come ministra sotto rischio di sfiducia personale, che non corre invece adesso come sottosegretaria, negò di essersi mai occupata della banca di suo papà vice presidente, di suo fratello già o ancora dirigente, non ricordo, e – credo – anche di alcuni suoi risparmi o investimenti.
Sono i soliti inconvenienti della politica praticata, secondo me, con troppa astuzia o paura, come preferite. L’astuzia di potersi sottrarre ad una polemica o ad un attacco negando e basta, o la paura di proclamare con tutta la sincerità possibile la propria onestà, anche a costo di apparire ingenui o sprovveduti.
Anche de Bortoli, mio Dio, non può adesso cadere dal pero, o fingere di cadervi, stupendosi del casino – scusate la parola – provocato dal suo libro, o solo dalle sue anticipazioni, con riserva quindi di vedere che cosa potrà ancora accadere quando avrà finito di leggerlo qualcuno abituato andreottianamente – sempre lui, il povero Andreotti – che a pensare male si fa peccato ma spesso, o sempre, s’indovina.
Un giornalista di lungo, lunghissimo e altissimo corso come il più volte ex direttore del Corriere della Sera, per non parlare del giornale della Confindustria Il Sole-24 Ore, e dell’incarico che attualmente ricopre, anche se non ricordo esattamente quale in questo momento, o degli editoriali che continua a scrivere per il quotidiano milanese di via Solferino, non può ignorare, o fingere di ignorare, le circostanze politiche nelle quali è uscito il suo libro. E la strumentalizzazione quindi che ne possono fare i bene e soprattutto i malintenzionati.
Non può ignorare il buon de Bortoli che in Italia, tra appuntamenti locali, nazionali e referendari, di solito siamo sempre in campagna elettorale, ma questa volta lo siamo ancora di più sia per la qualità sempre più scadente degli attori politici, che sanno più gridare che ragionare, e incitano a votare più con la pancia che con la testa, sia per la vicinanza sempre maggiore alla scadenza ordinaria della legislatura. Che cominciò malamente nel 2013 e si è sviluppata sempre peggio, col progressivo restringimento delle cosiddette larghe intese imposte per ragioni di igiene istituzionale, diciamo così, dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che non poteva sciogliere le Camere appena elette perché lui era negli ultimi mesi, anzi settimane del suo primo mandato, e quindi impeditovi dalla Costituzione, e non si sentì di scioglierle appena confermato al Quirinale, cominciando così il suo secondo mandato. E, d’altronde, le Camere avevano confermato lui, dopo il fallimento delle candidature prima di Franco Marini e poi di Romano Prodi, proprio perché conoscevano bene quanto fosse contrario a scioglierle.
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Ancora di recente, d’altronde, il presidente ormai emerito, cioè ex, della Repubblica ha fatto sentire alta e forte la sua voce per definire, forse troppo imprudentemente, “anormale” un Paese in cui le legislature finiscono prima della loro scadenza naturale. Come se lui stesso nel 2008 non avesse deciso di sciogliere le Camere elette solo due anni prima. Che poi erano state le stesse che lo avevano a loro volta eletto capo dello Stato, per cui lui teoricamente avrebbe potuto – secondo alcuni, addirittura, dovuto – sentirsi delegittimato.
Ma, tornando a de Bortoli e al casino – scusate ancora – che ha combinato, volente o nolente, con i ricordi dei suoi approcci coi “poteri forti, o quasi”, che è il titolo del suo libro, destinato probabilmente a fargli guadagnare un bel po’ di soldi, non deve adesso meravigliarsi se qualche renziano troppo malizioso, o troppo ingenuo, sospetta ch’egli si sia guadagnato o sia destinato a guadagnarsi chissà quali e quante benemerenze da uomini e partiti alla ricerca di un buon leader alle prossime elezioni, ordinarie o anticipate che siano. Non sarebbe – temo – la sua fortuna.