Ancora una volta è stata Ford ad inaugurare la stagione del cambiamento dell’industria Usa a quattro ruote dopo anni ruggenti in cui la casa di Detroit ha accumulato grossi utili (10,4 miliardi di dollari nel 2016). Ma questo non è stato sufficiente a salvare la poltrona di Mark Fields, il veterano messo sotto accusa dai grandi azionisti preoccupati per la caduta del mercato americano. Nemmeno la decisione di tagliare il 10% della forza lavoro in Usa e in Asia per contrastare la discesa dei profitti è stata giudicata una mossa sufficiente ad invertire la tendenza (a Wall Street il titolo è in calo del 37% da inizio anno). E così Bill Ford si è deciso al grande passo: il bastone del comando passa nelle mani di Jim Hackett, nella foto, un manager specializzato in ristrutturazioni aziendali fino ad oggi a capo della divisione che si occupa dello sviluppo delle auto a guida autonoma. Hackett, 62 anni (a soli 24 mesi dalla pensione) dovrà accelerare la transizione dell’azienda verso i nuovi prodotti in attesa della promozione di Jim Farley, protagonista del turnaround della Ford europea.
Fields è in un certo senso la prima vittima dell’innovazione: i fondi gli hanno contestato il ritardo nello sviluppo dell’auto elettrica rispetto a Gm che ha già varato la Volt. Per non parlare dell’auto a guida autonoma: la prima Ford di massa vedrà la luce nel 2022, cinque anni dopo il sorpasso a Wall Street di Tesla. Anche Gm è in difficoltà in uno scenario sempre più competitivo: la casa, che pur macina fior di utili, ha accusato in Borsa una perdita del 16% dal giorno dell’insediamento di Mary Barra nonostante la decisione, assai apprezzata dal mercato, di cedere Opel. Ma gli azionisti chiedono di più: l’investitore activist David Einhorn è pronto a dar battaglia chiedendo lo split in due del titolo per aumentare la redditività per i soci.
Le prospettive non sono rosee per nessuno: 1) II mercato, dopo sette anni di salita, è in flessione; 2) Le vendite a rate, in particolare, segnano il passo mentre aumentano la morosità; 3) I millennials sono sempre più tiepidi sull’acquisto di auto; 4) L’innovazione di prodotto, combinata con l’attesa della concorrenza di Apple e Google, frena l’acquisto di auto “tradizionali” così come il successo di Uber e dei sistemi di noleggio: 5) Le rchieste delle agenzie governative sull’inquinamento stanno aumentando i costi e riducendo i ricavi.
In questa cornice non è difficile prevedere una prossima rivoluzione dell’approccio di Detroit al tema dell’auto e della mobilità. L’onda non potrà non coinvolgere Fiat Chrysler, finora parzialmente protetta dalla crisi dei profitti dalla saggia decisione di concentrarsi sui modelli più ricchi a partire dai Suv. Ma il mercato è sempre più convinto che l’azienda italo-americana, che miete i veri profitti nell’area Nafta, debba per forza muoversi in direzione di un merger per sostenere i costi della crescita e dello sviluppo sul mercato globale. Sarà l’ultima missione in Fca di Sergio Marchionne (che mira a restare ben di più in Ferrari). Un anno fa il progetto di incalzare l’attuale vertice di Gm (grazie al sostegno di alcuni azionsti, tra cui Warren Buffett) restò nel cassetto a causa dei dubbi di Exor. Oggi, le pressioni dei soci di Detroit, combinate con la situazione di mercato, potrebbero favorire un colpo di scena.