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Ecco chi e come in Germania sconfessa l’austerity

“Dalla crisi alla coesione – Come riavviare la crescita nell’Europa del Sud”, è questo il titolo del saggio pubblicato dalla Fondazione Friedrich Ebert Stiftung nel giorno nel quale si riunivano i ministri delle Finanze dell’eurozona per discutere sulla prossima tranche di aiuti da concedere alla Grecia attraverso il meccanismo di stabilità europeo (ESM). A luglio Atene sarà chiamata a restituire 7 miliardi di euro ai suoi creditori e da sola non ce la farebbe. Aiuti che arrivano dopo un nuovo pacchetto di duri tagli alla spesa pubblica greca, appena approvato dal Parlamento ellenico. Tra questi, un ulteriore taglio alle pensioni del 18 per cento e un abbassamento a 6 mila euro annui della quota redditi non tassabile.

Il commissario Ue delle Finanze Pierre Moscovici ha sottolineato che “i greci hanno fatto tutto quello che è stato loro chiesto, ora tocca ai partner mostrare senso di responsabilità, e – quello che non tutti vogliono sentire – solidarietà”. L’allusione non deve essere sfuggita al ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble il quale continua a non volerne sapere di una parziale remissione del debito, una richiesta ripetutamente avanzata anche dal Fmi. Quella della remissione parziale è una proposta sostenuta ora anche dal ministro degli Esteri, l’ex leader dei socialdemocratici tedeschi, Sigmar Gabriel (nella foto). In un’intervista al quotidiano Süddeutsche Zeitung, Gabriel ha ricordato si tratta di una promessa fatta alla Grecia in cambio di riforme. Le riforme sono state fatte “ora, tocca a noi fare la nostra parte”.

Difficile dire se veramente si sta facendo largo anche tra gli opinion leader tedeschi la necessità di un’inversione di rotta. Certo aumentano le voci in tal senso. Ne è un esempio il saggio per la Friedrich Ebert Stiftung, fondazione di area socialdemocratica, di Michael Dauderstädt. L’economista prende in esame l’area del Sud Europa, i quattro paesi mediterranei Grecia, Italia, Spagna, Portogallo che hanno accusato la crisi economico-monetaria in modo particolare e sono stati poi “cacciati in una recessione senza pari” dalla politica di austerità e fiscale imposta loro. Dauderstädt avanza una serie ipotesi sul perché la crisi economico finanziaria abbia avuto ripercussioni particolarmente negative su questi quattro paesi.

Tra le ipotesi suggerite c’è anche la seguente: “Non è stata la scarsa competitiva dei prodotti, piuttosto sono state le importazioni crescenti per far fronte a una domanda in continua espansione. La crescita dei salari ha fatto aumentare le importazioni nel Sud Europa, mentre nel Nord Europa dove i salari sono rimasti più bassi, anche le importazioni di prodotti dell’Europa mediterranea sono rimaste basse”. A ciò si aggiunge che i modelli economici mediterranei si basano ancora molto su bassi salari e basso valore tecnologico aggiunto. Un modello che avrebbe dovuto essere abbandonato al più tardi con la caduta della cortina di ferro, ma così non è stato.

Detto questo, prosegue Dauderstädt, la cura imposta dalla cosiddetta Troika (Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) è, e si è rivelata, completamente sbagliata. E lo è per i tre obiettivi, “tra di loro incompatibili”, che avrebbe dovuto raggiungere: consolidamento dei conti pubblici (priorità per eccellenza); rimessa in equilibrio della spesa corrente (innanzitutto attraverso la riduzione dei salari, una visione alquanto miope); crescita economica (punto aggiunto solo successivamente). Peccato che “austerità e taglio dei salari generano una riduzione della domanda e minano la crescita, oltre a indebolire il settore produttivo nel suo insieme – fa notare l’economista – A quel punto è solo più l’intervento pubblico, cioè una politica fiscale espansiva che può riavviare il motore”.

E ora quali strategie perseguire? Per quel che riguarda la Grecia ci potrebbe essere una parziale remissione del debito, concorda Dauderstädt. La Grecia inoltre è l’unico paese dell’eurozona che non beneficia del programma di Quantitative Easing della Bce, alias di Mario Draghi.

Discorso diverso per l’Italia, l’economia mediterranea di gran lunga più importante. “L’Italia non è stata colpita da una crisi del debito sovrano, in compenso ha gravi problemi nel settore bancario, che possono influenzare la percezione del suo debito pubblico. (…) Inoltre l’economia italiana, se si considera anche l’elevato tenore di reddito, presenta un’anomalia: settori produttivi ad alta intensità di manodopera a basso costo e a medio/bassa intensità tecnologica.(…) L’Italia dovrebbe investire molto più nell’istruzione e nella ricerca.

Infine, per uscire dall’attuale situazione di stallo, per aiutare i Paesi mediterranei a riprendere la crescita economica, c’è bisogno di invertire la rotta: i salari dovrebbero crescere al passo con la produttività e non determinare loro la crescita in Europa; l’Europa deve spingere molto più gli investimenti; la spesa pubblica non va vista come un freno alla crescita economica, ma come suo un prerequisito indispensabili.

Più che austerità ci vuole “coesione”, raccomanda Dauderstädt. Bisogna tutti insieme aiutare la ripresa industriale anche nel Sud Europa eventualmente derogando anche da alcune regole del libero mercato europeo, per aiutare nuove industrie a radicarsi prima di misurarsi con la concorrenza internazionale. Si potrebbe prendere esempio dalla Corea del Sud e da Singapore”.



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