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Come la Germania si interroga sulle prime mosse di Macron con Merkel

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Ieri c’è stata la prima visita a Berlino del neoeletto presidente francese Emmanuel Macron. Una visita molto attesa e Merkel e Macron hanno cercato di non deludere le aspettative. Così, durante la conferenza stampa hanno promesso che “insieme rafforzeremo l’Europa”, che si lavorerà per approfondire l’integrazione, per rafforzare la road map e anche per rivedere i trattati. Per quanto non si tratti di un compito facile, visto che richiede il consenso unanime di tutti gli stati membri.

C’è in ballo il futuro dell’Europa. Macron già in campagna elettorale si è impegnato a fare il possibile affinché si rafforzi. Peccato che i francesi facciano fatica a cedere ulteriori competenze, mentre i tedeschi non ne vogliono sapere di solidarietà quando si parla di soldi. E così i media tedeschi, più che in passato, si sono interrogati su questa nuova coppia. Se si intenderanno, se saranno sulla stessa lunghezza d’onda, se insieme ce la faranno a rimettere in moto il motore franco tedesco.

Un tema trattato ripetutamente dai giornali, nei talk show, e questa domenica anche dal Presseclub, una trasmissione settimanale della rete pubblica ARD, nella quale quattro giornalisti, scelti in base all’argomento della puntata, dibattono per tre quarti d’ora sullo stesso. Questa domenica l’argomento era: “L’insediamento di Macron: ultima chance per una nuova Unione Europea?”. E questa puntata, più che altree, ha messo in luce le due anime, le opposte fazioni tedesche. Innanzitutto su come i paesi che ancora si dibattono nella crisi economica, tra questi la Francia appunto, possono uscirne.

Da una parte c’era chi come la giornalista del quotidiano di area liberal die Welt Dorothea Siems diceva di non capire “perché mai la Germania dovrebbe aiutare paesi che perseguono modelli economici sbagliati, tipo appunto quello francese”. Modelli cioè che, proseguiva elencando Siems “hanno prodotto un crescente indebitamento pubblico, un alto tasso di disoccupazione soprattutto giovanile, un apparato statale che inghiotte ingenti risorse”. Dall’altra c’era chi, invece, puntava il dito contro la politica tedesca dei diktat, delle Hausaufgaben, dei compiti a casa, contro l’idea che anche la Francia debba sottoporsi a riforme strutturali, come quelle varate nel 2005 dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder (che gli sono costate il posto, ma hanno riavviato il motore tedesco). Contraria alla politica dell’austerità si diceva la giornalista del quotidiano di sinistra di Berlino taz. Ulrike Hermann sottolineava a tal proposito un paradosso che caratterizza la Germania: “È vero, tutti, o quasi tutti qui hanno un lavoro, peccato che, come ha illustrato il recente rapporto su povertà e ricchezza, il 40 per cento non riesce a vivere del proprio stipendio. Per cui, se si vuole dare una mano alla Francia, sta alla Germania abbandonare la politica del rigore, del dumping salariale”.

Un’osservazione, quella sui salari tenuti volutamente bassi per battere i concorrenti europei, non condivisa però da Nikolaus Piper del quotidiano progressista Süddeutsche Zeitung: “Innanzitutto cominciamo a sgomberare il campo da pregiudizi o false affermazioni. Primo, in Baviera un lavoratore specializzato guadagna dopo un paio d’anni in un’industria automobilistica 5600 euro lordi al mese. In secondo luogo, la Francia non è il ‘grande malato d’Europa’. La sua economia l’anno scorso è cresciuta dell’1,4 per cento, mentre la nostra dell’1,6. Certo esiste il problema dell’alto tasso di disoccupazione. Motivo per cui Macron deve riuscire assolutamente, e al più presto, a spezzare il potere di ricatto dei sindacati”.

Anche secondo Gregor Peter Schmitz, del settimanale economico Wirtschaftswoche la Francia non è sull’orlo del fallimento. “Dunque non ha bisogno di solidarietà incondizionata. Ha invece bisogno, e Macron stesso l’ha ripetuto in campagne elettorale, di riforme”. Pieper e Schmitz si sono poi trovati d’accordo nel ritenere che un discorso sulla Francia impostato sugli aiuti è del tutto sbagliato: “Bisogna cambiare l’approccio, impostare un rapporto alla pari”. Solo così anche le sue proposte di riforma dell’Ue potranno essere seriamente discusse.

Già ma non è con un rapporto alla pari che si risolveranno i problemi francesi, è intervenuta Siemens della Welt. “La Francia continua a spendere più di quanto possa permettersi. Certo – ha aggiunto – l’abbiamo fatto anche noi in occasione della riunificazione, ma poi siamo tornati a una politica economica più oculata”. Stesso discorso si potrebbe fare riguardo al disavanzo della bilancia commerciale ha proseguito Siems. “A parte il fatto che la politica non può mica ordinare di esportare di meno. La vera domanda è però un’altra. Nell’eurozona abbiamo una politica monetaria che tiene basso il valore dell’euro. Di questo la Germania indubbiamente approfitta. Ma visto che la moneta è la stessa, come mai la Francia non ha a sua volta questo surplus?”. Un’argomentazione alla quale Schimtz della WiWo ha aggiunto: “Il nostro surplus non è peraltro dovuto esclusivamente alle esportazioni negli altri paesi dell’Ue, perché nel frattempo esportiamo molto di più in altri continenti”.

Stessa divisione tra i commentatori si è poi creata riguardo all’idea di Macron di un New Deal, per far ripartire veramente l’eurozona. Mentre Siems sottolineava che non vedeva l’utilità di un fondo di investimenti comune, visto che “c’è già il piano Juncker per 300 miliardi di euro, e i francesi sono, dopo i britannici, quelli che vi attingono maggiormente”. E comunque non potrebbe essere questo fondo a risolvere i problemi dei francesi, le faceva eco Schmitz. Vero, concordava anche Pieper della Sdz, sottolineando poi un paio di altre inesattezze che circolano da tempo: “Macron non ha mai parlato di eurobonds e nemmeno di una socializzazione del debito”. Parlando di un New Deal europeo Macron intenderebbe invece l’unione delle forze e delle debolezze degli stati membri. “E spero proprio che Merkel su questa strada lo segua” aggiungeva.

Già ma gli europei, a iniziare dai francesi sempre parecchio recalcitranti a cedere pezzi di sovranità questo New Deal lo vorrebbero? “Guardiamo cosa ha prodotto l’aver messo nella mani della Bce i nostri soldi. L’idea era che ci avvicinasse, e invece si è verificato l’esatto contrario” ha affermato Schmitz. Secondo Hermann, questa divisione è stata in primo luogo prodotta dalla Germania, ha ribadito Hermann della taz. “Non è che si possa sempre puntare il dito verso gli altri. Anche perché così facendo si finisce per essere sempre più isolati. Cosa che la Germania nel frattempo è”. Ma nemmeno si può “esportare crescita in Francia” ribatteva Schmitz. Secondo Pieper è sbagliato porre la questione in questi termini, anzi umiliante per la Francia: “Che è un grande paese e sa da sé cosa deve fare. Noi tedeschi più che aiutare dobbiamo metterci nell’ottica di cooperare. E ancora, di ascoltare Macron, confrontarci con le sue idee. Perché è anche per noi di vitale interesse, che Macron abbia successo”.



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