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Ecco come la Germania vuole castigare gli Stati sui fondi Ue

La Germania vuole “castigare” gli Stati che non rispettano le regole Ue. Se, come probabile, quella del futuro sarà sempre più un’Unione Europea a trazione tedesca, come ha scritto oggi su Formiche.net l’economista ed ex ministro Giorgio La Malfa, sarà bene che tutti gli Stati si preparino a un giro di vite. La Germania, infatti, sta spingendo per congelare l’erogazione dei finanziamenti a chi non si adegua alle regole comunitarie. Se da un lato, per esempio sul fronte dell’accoglienza profughi, questa per l’Italia potrebbe essere una buona notizia, c’è il rovescio della medaglia, perché per contro sui conti pubblici non siamo certo i primi della classe.

IL BUDGET DELLA COMMISSIONE PER IL 2018

La Commissione europea ha presentato martedì 30 maggio la bozza del budget di investimento per il 2018. Un tesoretto da 160,6 miliardi di euro, due in più del 2017. Quasi la metà (77,2 miliardi) verranno suddivisi in investimenti per la crescita inclusiva, su lavoro, sociale, economia e territorio. L’altra grossa fetta, 59,6 miliardi, finanzierà la crescita sostenibile. Decisamente più risicati gli altri capitoli: 9,7 miliardi in amministrazione, 9,6 miliardi in politiche commerciali. Tre miliardi e mezzo (il 3% del budget) nel capitolo sicurezza.

Interessante il capitolo sull’immigrazione, per cui nel triennio 2015-2018 sono previsti 22 miliardi di investimenti. Secondo la Commissione, “il peggio della crisi sembra essere passato, (vale per l’Europa nel suo complesso, con la chiusura della rotta balcanica, ma non per l’Italia, ndr) e quindi proponiamo di passare da misure di reazione a misure preventive”. Un proposito che nel 2018 si traduce in uno stanziamento di 2,2 miliardi per la gestione interna della sicurezza e dell’immigrazione e altri 1,9 miliardi di stanziamenti extra Ue.

BERLINO VUOL BLOCCARE I FONDI PER CHI “SGARRA”

Cifre a parte, la novità più significativa viene dalla Germania, il maggior contributore europeo. Nel proprio documento programmatico, approvato a maggio, i cui estratti sono stati pubblicati da Politico, i tedeschi spingono per collegare “l’adeguamento ai principi fondamentali regole europee e l’ottenimento dei fondi di coesione”. I fondi di coesione servono a omogeneizzare l’Unione e sono destinati agli stati dalle economie più deboli (ovvero, nel settennato 2014-2020, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria). In concreto, se passasse la proposta tedesca, fra i primi a farne le spese ci sarebbe la Polonia, che non si sta adeguando alle raccomandazioni della Commissione sulla riforma della propria Corte Costituzionale. Una mancanza che le potrebbe costare cara, perché la Polonia fra il 2014 e il 2020 ha beneficiato (e dovrebbe beneficiare) di 86 miliardi di fondi di coesione.

L’ITALIA E IL RIGORE A CORRENTE ALTERNATA

Al netto della questione polacca, che per ora sembra limitata ai fondi di coesione (che l’Italia non prende), la proposta tedesca potrebbe avere un significativo impatto sugli equilibri dell’Unione Europea. L’adeguamento degli stati alle regole comunitarie, infatti, è al centro di un aspro dibattito che negli ultimi mesi ha messo in discussione l’esistenza stessa dell’Unione. L’Italia sta tenendo un atteggiamento a corrente alternata: rigorista sui profughi e permissivo sulla finanza pubblica. Da un lato il nostro Governo – e soprattutto quello precedente, guidato da Matteo Renzi – ha battuto i pugni affinché i Ventisette si accollassero la loro quota di richiedenti asilo, come prevedeva l’accordo, ampiamente disatteso, siglato nel 2015. Dall’altro (soprattutto con Renzi) ha ingaggiato con Bruxelles un lungo braccio di ferro sulla manovra economica, finalizzato, in sintesi, a concedere all’Italia uno sforamento dai parametri richiesti dall’Unione, su tutti il rapporto deficit/pil. Da questo punto di vista, nel nostro paese, si registra una convergenza fra la maggioranza Pd e l’opposizione, in particolare i 5 Stelle: anche il candidato premier grillino in pectore, Luigi Di Maio, ha pubblicamente chiesto all’Europa di fare rispettare l’accordo sui migranti. Peraltro lanciando una proposta simile a quella tedesca, ovvero sospendere gli aiuti a chi non fa la propria parte.

Tuttavia la proposta tedesca, anche ammesso che preluda a un giro di vite generale, e quindi imponga ai riottosi paesi del “gruppo Visegrad” (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) di accogliere la loro quota di profughi, rischia di complicare la posizione dell’Italia, che aspira invece a una revisione dei parametri economici, su tutti il Fiscal Compact. Resta da capire se Emmanuel Macron in Francia, da questo punto di vista, sarà o meno un alleato dell’Italia. Sebbene il neopresidente sia stato salutato con favore da chi aspira a un’Europa meno rigorista, il suo progetto poggia sul rilancio dell’asse franco-tedesco con Angela Merkel.

L’INCOGNITA BREXIT

Certo è che la volontà della Germania non si può ignorare, soprattutto alla luce del complicato quadro politico ed economico che sta emergendo dopo Brexit. A questo proposito, il budget 2018 della Commissione non ha patito, perché l’uscita effettiva del Regno Unito arriverà soltanto nel 2019. Ma proprio per questo, dall’anno prossimo le cose cambieranno. E la Germania, nel suo “position paper” sul budget europeo, ha lasciato intendere che c’è poco da essere ottimisti. I tedeschi, a proposito di Brexit, annunciano “tagli” a partire dal prossimo piano multiennale di finanziamenti, che partirà nel 2020. Il documento tedesco parla di “un fardello in più” per finanziare “nuove sfide”, soprattutto su sicurezza e accoglienza. Secondo Berlino una via per affrontare queste sfide è “creare incentivi per promuovere riforme strutturali degli stati membri”. Di fatto, spiega Politico, un modo per legare i sussidi alle performance degli stati sulle riforme. I tedeschi non dimenticano di chiedere più severità (tradotto: un taglio dei fondi) nei casi in cui i paesi non si adeguino alle regole sul deficit.

MALUMORI A EST

Ora è facile prevedere che la mossa tedesca riaccenda il dibattito sulla legittimazione delle Istituzioni europee a intervenire sulle politiche dei singoli stati. Il clima è teso, specialmente nel gruppo Visegrad. Pochi giorni fa il Ministro degli esteri polacco, il conservatore Witold Waszczykowski ha accusato il vice presidente della Commissione Frans Timmermans, olandese, di aver intentato una “crociata personale” contro la Polonia. “Non possiamo accettare che un gruppo selezionato di burocrati monitori e governi gli stati membri. La Commissione non ha legittimazione democratica”.



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