Giuseppe Rotelli, un importante imprenditore della sanità lombarda, aveva il pallino dell’editoria, e vagheggiava che una rivoluzione liberale potesse scaturire da un’eccellenza giornalistica e culturale. Si illudeva. Comprò generosamente azioni della casa editrice anche per impedire che all’uscio si presentassero “furbetti del quartierino” come Stefano Ricucci, peraltro sdoganati da altri azionisti paludati della stessa RCS.
Rotelli è morto nel 2014. Era un persona gentile, premurosa. Pur essendo diventato un grande azionista, non mi chiese mai di fare nulla. Mi esponeva le due idee, favorevoli ovviamente all’iniziativa privata nella sanità, contrastava alcune opinioni che pubblicavamo. Ma nient’altro. Perse nell’avventura editoriale più di 250 milioni ma non lo sentii mai dire una frase tipo “con tutti i soldi che ci ho messo…”.
(IL CIUFFO DI DE BORTOLI SI ABBATTE SU BOSCHI. LE FOTO DI PIZZI)
Quella frase l’ho udita solo da Raul Gardini, durante il nostro ultimo incontro, nel 1993 in piazza Belgioioso, poco prima del suo suicidio. La disse, con veemenza romagnola, battendo i pugni sulla scrivania. Rotelli non voleva nemmeno che andassi io a trovarlo. Veniva lui in via Solferino anche quando la malattia lo aveva indebolito e deformato nel viso.
Aveva per il “Corriere” un’ammirazione quasi religiosa. una volta riuscii a convincerlo a non venire in redazione e andai io da lui in piazza Turr a Milano. Strano posto nel quale era palpabile l’ossessione per l’igiene del proprietario. Mi ricevette in un grande soggiorno nel quale aveva esposto quadri di pittori lombardi del Seicento e del Settecento. […]
(DE BORTOLI E I POTERI FORTI. GALLERY-STORY/1)
I pranzi erano piacevoli ma interminabili. Il professore – lo si chiamava così – mangiava con una lentezza esasperante. E quando si avvicinavano le quattro del pomeriggio diceva: “Lei, direttore, quanto tempo ha ancora?”.