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L’apocalisse del Tar, i musei e i troppi Savonarola

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A leggere i titoli dei giornali e i commenti del famigerato “popolo del web”, siamo all’apocalisse: pronunciandosi qualche giorno fa sulle ormai famose nomine di direttori stranieri di musei Italiani, ancora una volta il TAR del Lazio ha detto no, confermando, secondo taluni, la sua vocazione a bloccare, a mo’ di capriccio, il libero svolgersi delle umane attività.

Ma cosa è successo davvero? Cominciamo col dire che i direttori stranieri sono stati selezionati in virtù di una norma speciale del 2014 che prevedeva per i poli museali e gli istituti della cultura statali di rilevante interesse nazionale, che costituiscono uffici di livello dirigenziale, la possibilità di incaricare, con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre a cinque anni, persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali.

Si tratta, per capire, di un contingente di esperti in quota esterna, cioè non vincitori di pubblico concorso, ma selezionati sul mercato, derogando espressamente alle quote di esterni previste per legge, i famosi “19 comma 6”, per i sacerdoti del burocratese. Procedura aperta anche agli interni, i quali, però hanno ceduto il passo ai loro colleghi dall’estero.

Fin qui nulla o quasi di male: sul fatto che la cura dei beni artistici e culturali non sia vincolata ad un passaporto non si può che essere d’accordo. Tuttavia, ci si è dimenticati che la legge che regola in Italia il pubblico impiego prevede, per i dirigenti pubblici, la cittadinanza italiana. La stessa normativa che è stata derogata da una legge del 2014 prevede, infatti, che “i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale” (art. 38 del decreto legislativo 165 del 2001).

Insomma, se l’intento era aprire al mondo la direzione dei musei, bastava definire una deroga più ampia, cosa assolutamente possibile e legittima. Altro che sadismo burocratico, come ha scritto sprezzantemente il primo quotidiano nazionale. Rimandando alla paziente disamina del testo della sentenza per altri importanti aspetti individuati dai giudici (ma qualcuno dei tuonatori di questi giorni l’avrà poi letta?), aggiungo un paio di considerazioni.

Ben vengano esperti dall’estero, ricordandosi però che il direttore di un museo non è (solo) un direttore artistico. Non organizza soltanto mostre ed eventi, ma è anche un dirigente pubblico e, dunque, deve avere a che fare con tutte quelle incombenze burocratiche che i più detestano ma che servono a far funzionare una struttura, interfacciandosi, tanto per fare un esempio, con i sindacati e e gestendo eventuali procedimenti disciplinari.

Si tratta di competenze che, piaccia o non piaccia, occorre possedere. Ma, cosa più importante, c’è da restare ancora una volta basiti da reazioni assai scomposte da parte di chi rappresenta le Istituzioni e che dovrebbe, sempre e comunque, adoperare ogni prudenza nel commentare gli atti di altri poteri dello Stato, in particolar modo quando si tratta di sentenze, che si gradiscono a corrente alternata.

Non c’è dubbio che i giudici amministrativi offrano spesso versioni diverse su questioni analoghe, ma appare davvero paradossale che si dia addosso e si chieda l’abolizione dell’organo che ha il compito di tutelare la legalità nell’interesse dei cittadini, giudicando sulla legittimità dell’azione delle amministrazioni. Un atteggiamento tafazziano, verrebbe da dire.

Insomma, prima di stracciarsi le vesti e invocare la chiusura di quel tribunale o la destituzione di quel burocrate, inviterei i Savonarola nostrani a fare un bel respiro, rileggersi la Costituzione e contare fino a dieci. Poi ricordarsi che – fortunatamente – viviamo in uno Stato di Diritto e dopo, e solo allora, esternare ed interloquire. Chissà se questo maledetto clima asfittico in cui si è voluto relegare le Istituzioni di questo Paese si svelenirà un poco. Solo un poco.

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