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L’attrattività italiana migliora, ma per rafforzarla serve un gioco di squadra

La società di consulenza AT Kearney ha reso pubblici i risultati 2017 del “Foreign Direct Investment (FDI) Confidence Index”, un indice costruito su un campione di imprese/paesi che vale circa il 90% dei flussi di IDE in entrata nel mondo, che offre una panoramica sulla percezione globale di investimento di lungo periodo, anticipando le principali scelte in termini di destinazione. L’Italia si trova oggi al tredicesimo posto in classifica, guadagnando tre posizioni rispetto al 2016. Il miglioramento dell’indicatore era già stato particolarmente positivo nel 2015, nonostante i bassi livelli di crescita del paese e le criticità della situazione occupazionale. Questo risultato fa sperare in un rinnovato clima di fiducia, legato all’approvazione della (seppur controversa) riforma del mercato del lavoro e all’agenda di riforme che si stanno portando avanti: dalla giustizia civile, alla “buona scuola”, alla semplificazione della pubblica amministrazione. L’incidenza dei flussi di IDE in entrata sul PIL nazionale è però ancora decisamente inferiore alla media europea. Secondo l’Unctad, nel 2015 gli IDE in entrata valevano l’1,1% del Pil italiano contro il 2,8% dell’Unione. Negli ultimi anni la dinamica degli investimenti in entrata è stata positiva, ma la maggior parte dei nuovi investimenti si è concentrata su acquisizioni di imprese o ampliamenti di stabilimenti già esistenti, più che sulla creazione di nuovi centri produttivi. Gli investimenti di quest’ultimo tipo, c.d. greenfield, sono fondamentali perché al contrario delle partecipazioni, contribuiscono ad aumentare il capitale fisico, generando nuovi asset e costituendo un vero volano per la crescita economica.

Alle ormai note criticità del contesto italiano (l’inefficienza della burocrazia, il funzionamento del sistema giudiziario e in particolare di quello civile, la pressione e la complessità del sistema fiscale, le difficoltà nell’accesso al credito, la rigidità del mercato del lavoro) si aggiungono le persistenti differenze tra le regioni. Gli investimenti diretti esteri continuano a essere concentrati nel Nord Ovest: nel 2014, quest’area rappresentava il 65 % delle consistenze degli IDE provenienti dall’estero. La seconda area per attrazione di IDE è il Centro, che ne ospita il 24,2%; seguono il Nord Est con il 13,4% e il Mezzogiorno con l’1,2%. In una fase in cui la capacità di essere presenti sui mercati internazionali è sempre più fondamentale per la competitività del tessuto produttivo e dei territori, che incontrano significative difficoltà strutturali, è apparso necessario disegnare un intervento nazionale a carattere straordinario, attivato e attuato in modo coordinato tra i diversi soggetti coinvolti nel sostegno all’internazionalizzazione delle imprese. All’inizio del 2015 il Piano per la promozione straordinaria del made in Italy e l’attrazione degli investimenti è stato condiviso dalla Cabina di Regia per l’Italia Internazionale, prevedendo per il triennio 2015 – 2017 fondi aggiuntivi a quelli ordinari per 220 milioni di euro (130 per il 2015, 50 per il 2016 e 40 per il 2017), ai quali la legge finanziaria 2016 ha aggiunto altri 50 milioni di euro, e la stabilità 2017 1 milione di euro per l’anno in corso.

Dall’ultima riunione della Cabina Di Regia emerge che nel biennio 2015 – 2016 il Piano ha permesso di mettere in opera interventi per 357 milioni di euro, attualmente prevalentemente impiegati per la promozione del made in Italy (il 36,5%), mentre solo una parte minore è stata devoluta all’attrazione di investimenti diretti esteri (1,8%). Tra le prospettive per l’ulteriore rafforzamento del sistema di sostegno all’internazionalizzazione troviamo però proprio l’intensificazione dell’attività di attrazione degli investimenti. Questa dovrà avvenire grazie ad uno stretto raccordo tra le competenze dei soggetti coinvolti e, soprattutto, rafforzando la concertazione con le Regioni. E’ auspicabile che la definizione degli strumenti per la promozione dei territori sarà  così tale da ottimizzare le risorse disponibili a livello regionale. Alla fine di questi primi due anni, non possiamo che augurarci che il Piano riesca ad essere, finalmente, uno strumento adatto a superare la dicotomia che spesso si è creata tra le priorità condivise a livello nazionale e le politiche industriali regionali, riducendo ulteriormente le incertezze di chi dall’estero può scegliere di investire nel nostro paese.

ide


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