Forse il mondo delle relazioni sindacali nei comuni d’Italia ha trovato il suo Marchionne. E’ Luigi Brugnaro, imprenditore fondatore dell’Agenzia del lavoro Umana, sindaco di Venezia eletto il 15 giugno 2015 con oltre il 53% dei voti al ballottaggio contro il magistrato Felice Casson e patron della Reyer, la locale squadra di pallacanestro.
Alla guida di una lista civica, dichiarando di non essere né di destra né di sinistra, è stato sostenuto da Forza Italia e dal centro-destra. Un candidato espressione più che della “società civile”, di quel mondo di persone che nella propria carriera professionale hanno ottenuto successi importanti e che si presentano come “uomini del fare”. In questo simile – anche se speculare nella collocazione politica – a Beppe Sala, il primo cittadino di Milano col quale ha condiviso una importante iniziativa per promuovere il Sì al referendum costituzionale tenutasi a Milano. I maligni sostengono che, se fosse stata approvata la riforma costituzionale, entrambi sarebbero stati probabili senatori in rappresentanza delle autonomie locali ma questo è un dettaglio: più significativo è lo spazio di autonomia di un partito dei sindaci, che superi il confine degli schieramenti.
In questi giorni Brugnaro è al centro di una vicenda che potrebbe aprire una nuova stagione nelle relazioni sindacali nel pubblico impiego, in particolare nella vita degli enti locali. D’altra parte il sindaco di Venezia, la cui azienda opera nel mercato del lavoro, non è un “parvenu” del mondo sindacale: figlio di Ferruccio Brugnaro, importante dirigente Cisl della Montefibre di Porto Marghera che segnò la storia sia della contrattazione che della ristrutturazione della chimica italiana alla fine degli anni ’90.
Ma cosa è accaduto? A seguito di una confusa trattativa sindacale per il rinnovo del contratto decentrato del Comune di Venezia è stato sottoscritto un accordo tra l’amministrazione della città e il solo sindacato di categoria della Cisl. Nel linguaggio corrente si tratta di un contratto separato, assolutamente legittimo perché sottoscritto da una delle organizzazioni maggiormente rappresentative e firmataria del contratto collettivo nazionale, anche se certamente non maggioritaria tra gli iscritti sindacali del comune.
La questione prescinde, allo stato, dal merito dell’intesa – che non è stata condivisa dalle altre organizzazioni sindacali e che sarà giudicata da ciascun lavoratore – ma è importante a individuare il percorso che seguirà l’applicazione dell’accordo se non interverranno fatti nuovi. La sottoscrizione di accordi separati (al di là dell’espressione tendenzialmente spregiativa va detto che spesso queste intese si sono rivelate sagge intuizioni) è sempre sempre stata possibile mancando le norme applicative dell’articolo 39 della Costituzione. E’ evidente che, in presenza di un pluralismo sindacale costituzionalmente protetto, non si può impedire a nessun sindacato di sottoscrivere da solo un accordo se trova una controparte disponibile a firmarlo.
Per esempio il 29 luglio 2013 la Fiom-Cgil ha sottoscritto con Unionmeccanica-Confapi un contratto collettivo nazionale. La questione è sempre stata, almeno nel settore privato, della comprensibile preoccupazione degli imprenditori (che talvolta tradiva l’intenzione di togliersi un fastidio nella convinzione di aver poi mani libere) di non aprire fronti conflittuali che potevano render difficile il governo aziendale. In questo caso è il “padrone”, ancorché pubblico, che è protagonista di un accordo separato e in tutta evidenza, almeno secondo i numeri, minoritario.
I sindacati confederali ed autonomi che non hanno sottoscritto l’intesa preannunciano un referendum per il 18-21 maggio mentre la Cisl riunirà giustamente l’assemblea dei propri iscritti, gli unici legittimati in questa fase ad esprimere un parere. I percorsi sono divaricanti e sembra difficile riproporre le vie dell’accordo “separato” tra Marchionne e la Fim, il Fismic e la Uilm che si conclusa con un referendum che segnò peraltro la sconfitta della Fiom. Ma il referendum del comune di Venezia avrà un valore politico che non può certo inficiare – legibus sic stantibus – l’accordo sottoscritto dalla Cisl. Difficile capire cosa accadrà alla fine di questa contorta vicenda che però ha un indubbio merito, quello di porre il problema delle regole che garantiscano l’efficacia generale dei contratti sottoscritti dai soggetti rappresentativi.
L’auspicio è che non prevalga la democrazia a cinque stelle che si realizza non solo nel voto sul web ma anche nel ricorso sistematico ai referendum. In certe particolari situazioni il parere di tutti i lavoratori è necessario ma il ruolo dei delegati democraticamente eletti, accanto ad una sera rivisitazione degli obiettivi e delle forme di lotta, rimane la spina dorsale di un sindacato moderno attento agli interessi generali.